domenica, novembre 28, 2010

The Hands of Time

Nei rari momenti in cui non penso a come meglio impiegare le mie mani penso al tempo e alle volte che mi ha dato la mano per camminargli vicino. Penso alla mia testarda incredulità, a come scuoto la testa quando ritengo che qualcosa sia troppo perchè io lasci la mia mano lì.
Ai miei errori, e al fatto che finalmente li chiamo così.
E poi torno a pensare a come meglio impiegare le mie mani, nella speranza che il tempo faccia uno sconto ogni tanto, turning back its hands. Somehow.

mercoledì, ottobre 13, 2010

Dove?


Portami dove non serve tremare,
dove non serve che io freni,
dove non sono sfinita,
dove i dubbi non sono ancora arrivati.
Portami dove c'è il giusto asfalto per le mie suole,
dove è l'orizzonte di ogni mio ritorno e di tutti gli arrivederci.
Portami dove vorrò restare
che sarà anche da dove ricominciare a camminare.

lunedì, ottobre 04, 2010

PTSD

Oggi, 3 ottobre 2010, ho operato in modo autonomo la mia prima indagine di statistica di popolazione mista ad epidemiologia. Il risultato, in breve, è che il mondo è popolato da larga parte di stupidi perchè la stupidità in realtà è una mutazione vantaggiosa per la sopravvivenza. Se non poche domande, risposte stupide, nette, ma che salvano da trivellazioni filosofiche i portatori dei geni in questione.

Oggi, ad esempio, avrei tanto voluto essere stupida.

A mezzogiorno non credevo sarei arrivata a mezzanotte respirando in modo autonomo. 
Non credevo sarei riuscita a percorrere i marciapiedi di tre stazioni con due valigie, ed il cuore più pesante di loro sullo stomaco. 
Non credevo sarei riuscita ad evitare di chiedere a chiunque "Ma lei ha idea di come io mi senta oggi?".

Invece sono qui, 18 atti respiratori al minuto, le braccia doloranti, uno stomaco pieno di lasagne buonissime che potevano benissimo essere cartone o colla ed io non me ne sarei accorta. Non ho neanche importunato nessuno.

Resta questo scomodo peso sopra al diaframma, un peso che mi ricorda quando mi svegliavo ogni mattina già con un mattone appoggiato e non capivo perchè ci fosse, almeno per i primi 4 secondi. Poi facevo mente locale ed il mattone acquistava corpo, viso, dolore. Allora avevo un sesto senso.
Adesso odio il mio settimo, che già sa con certezza quale viso, quale nome dare a questo nuovo mattone, e quanto dolore sta dando. Sperando si fermi presto. Sperando si fermi.
 
Gli stupidi si fermano a 5 sensi, ed io i miei due in sovrappiù li regalerei volentieri. Credo che vivrei meglio. 

Grey's Anatomy insegna che il PTSD  si può manifestare in modi diversi. A me si manifesta col contrappasso: sono una che ama costruire nella vita. Quindi mi becco un mattone sullo sfintere esofageo inferiore. 

Positività nell'anamnesi patologica remota, ma siccome non è una recidiva ed è risultato di un comportamento voluttuario, è da definire come manifestazione ex novo.

Se fosse un secondo cancro al polmone in un fumatore che l'aveva scampata alla prima direi che è stupido.
Ma purtroppo io non sono stupida. 
Non è lo stesso mattone.
E lo sfintere esofageo inferiore non è un muscolo che si possa allenare.

Il male fa dimenticare che sintomi dà la felicità. Peccato, era uno dei miei argomenti preferiti.

giovedì, settembre 23, 2010

Tramontate, stelle

Il seguito lo scrivo domani. 
O forse no, in questa mia fase intimista e serena le parole non mi servono. Chi l'avrebbe mai detto che Laura potesse arrivare a pensare questa cosa...  Da adesso, solo parole indispensabili, parole in cui credo, di cui me ne frega qualcosa. E le persone di conseguenza. 

venerdì, settembre 10, 2010

La solitudine dei numeri primi

Arriva il momento in cui devi capire se un'occasione è più persa o più vinta.
Ho i numeri per vincerla anche senza il numero desiderato, quando avrò voglia.

venerdì, settembre 03, 2010

3 settembre 1983

Papà mi diceva oggi che il 2 settembre di 27 anni fa a Bagnara c'era una tempesta di quelle fragorose che tolgono la visibilità a 3 metri: Luciano e Gabriella sono dovuti salire fino a Sant'Elia per evitare al di lui parentame di sfracellarsi giù per i tornanti che portano al paese. L'indomani era una giornata perfetta.
Il cielo di allora illumina la stanza dove apro l'album fotografico di cuoio.
 Delle foto mi colpiscono le macchie di rampicanti sui palazzi, gelsomini e bouganvillae allo stesso posto di oggi, ed alcuni visi per me fuori posto in quella cornice. Molta della gente che adesso ha il doppio dei miei anni nelle foto aveva meno rughe di me in questo momento, e mi piacerebbe poter far tornare Luciano fisicamente indietro nel tempo in quell'istante di beatitudine in cui guarda l'amore della sua vita in bianco che avanza verso di lui, un pinocchio smilzo e barbuto in un completo blu perso, perso in qualcosa di simile alla contemplazione.
Darei quanto posso, tutto ciò di cui sono in possesso, vita felicità e quel poco che di mio c'è, per fargli rivivere quell'abbaglio proprio oggi.
27 anni sono lunghi come me tra due anni. Sono lunghissimi, sebbene io finga di essere giovane.
Ma, per assurdo, 16 sono più lunghi ancora.

Dalle foto traspare che nessuno pensava che ciascuno di loro fosse un po' Damocle, che queste foto avrebbero reso loro ingiustizia agli occhi del futuro. Di sicuro quella coppia fiduciosa, complice e solida che sorride dal Belvedere di Scilla e buca di felicità la carta lucida non si aspettava così poche occasioni, così pochi sorrisi. Realisticamente, gliene fregava qualcosa del futuro?
Si direbbe però dalle lacrime che sfuggono dagli angoli delle palpebre viola che l'amore non sia qualcosa che un nodo alla gola possa fermare, o la morte separare. Vedo che questa maledizione esiste, questa fedeltà e questa sofferenza da cane.
Il nodo alla gola viene a me nel non sapere cosa augurarmi di vivere, se l'oblìo all'occorrenza o qualcosa di troppo grande per poter essere rifiutato.

Ma oggi le mani si spostano presto dalla tastiera alle pagine dell'album, testimoni di ciò che è l'unica cosa in grado di mettere per un po' a riparo Luciano da tutte le forme di dolore che, crudelmente proprio oggi, si sono date appuntamento nelle sue fibre delta. Quasi uno sfregio.

Non sapevano di non poter nulla contro il mare e i gelsomini fuori dalla Matrice, contro quella stupida sacra felicità di cui mia madre brilla nelle foto che ancora e persino oggi illumina il viso di mio padre.

lunedì, agosto 30, 2010

Un canto di sirene ad ogni passaggio

"E fu il calore di un momento, poi via di nuovo verso il vento, davanti agli occhi ancora il sole, dietro alle spalle un pescatore..."

Ho cominciato a scrivere questo post nella mia testa quando i sassolini nel costume non erano sufficientemente scomodi da farmi alzare da dov'ero, immersa nella risacca ad ogni andirivieni del mare, sotto ad un azzurro impietosamente perfetto da ripagarmi di ogni giorno in cui l'ho sognato da lontano.
I momenti preziosi si sono infilati uno dietro l'altro come perle, tutti uniti da un fil rouge gastronomico da cui nulla può prescindere.

Una T-shirt bianca con vista su Scilla sfavillante al tramonto.
Granite e brioche, ho perso il conto.
Nonna e le sue sfilze interminabili di frittelle e di rimproveri pieni di anni e d'amore.
La famiglia che si unisce in un fronte comune non appena si rannuvola l'orizzonte.
Una cena con cugini che è una specie di cabaret.
Un concerto al belvedere che mi ha fatto tanto sorridere.
I capricci e l'intelligenza di Sasha, gli occhi di Jonathan, il sorriso di Davide, il dolcissimo peso di Riccardo che si addormenta tra le mie braccia accontentandosi di una ninnananna in gaelico sicuramente stonata.
Il viola violento delle bouganvillaes fiorite ovunque.
Tanto di quel sole che credo si siano abbronzate persino le ossa.
La grande soddisfazione per un rapporto che è una scommessa vinta.
Il mare ingrossato di ieri, per ricordarmi che dalla corrente conviene farsi portare senza troppe storie e che se non osi poi rimpiangi.

Pensavo non si potesse raggiungere alcuna vetta maggiore di serenità, e ho scoperto che mi sbagliavo durante una notte di tamburelli ed organetti e voci e piedi pestati e passi inventati in cui ho sudato la vecchia nostalgia per far spazio alla nuova: quel genere di rari momenti in cui sai di essere al posto giusto al momento giusto.

A gambe stese sui sedili di un regionale che mi riporta tra le piovose montagne abruzzesi la sensazione é più o meno la stessa, forse un po' più dogmatica, ma so di essere dove devo, anche se le sirene sono ormai lontane. Ubi maior, abbassano la voce... ma non ci si lega mai bene abbastanza per restare incolumi.

L'unica magia a cui non sarò mai immune è chiusa in un angolino di acqua e sassi da cui per troppo tempo resto lontana, che sempre mi abbaglia e da cui sempre troppo presto devo scappare, ancora e per sempre irretita.

"...nelle braccia già di un treno 
che lasciava dietro 
un cielo da dimenticare 
mia nonna che mi dava il cuore 
delle rondini 
"un giorno dovrai andare". 
Nuda di lacrime
lasciavo il mio oriente 
senza parole nuda per la mia gente..." 
(Mia Martini, Il mio oriente)

giovedì, luglio 22, 2010

Dall'altra parte

Oggi è uno di quei giorni in cui la vita e mille dei suoi lati sembrano dipanarsi davanti ai miei occhi.
Giorno di spossatezza, di studio -tanto per cambiare.
Giorno di fierezza, di quando le cose cambiano.

Quando si passa dall'altra parte niente è più come prima nelle nostre vite. Nei nostri legami, nelle nostre agende, niente sarà più logisticamente facile come era fino a ieri.
La paura di perdersi può più di tutte le altre paure, e guasta la gioia.

Sei-otto volti senza cui tutto sarebbe stato diverso, peggiore, volti che vorrei avere nella mia vita in modo costante...e un anno e mezzo di tempo per abituarmi alla lontananza senza scadenza.
Il prezzo di una vita senza radici è che il vento mi sparpaglia via come fossi fatta di tanti piccoli pezzi. E forse è così. Tutti i volti lì a portata di braccia nello stesso momento. Non sarò mai più intera come stamani.
Forse per tutti noi è tempo di essere interi altrove ed altrimenti.


Ma resta unito chi lo vuole davvero, e il vento resta ad ululare fuori.

Merci les gars.

mercoledì, luglio 14, 2010

Sortir la grande voile

La sensazione di questi giorni merita un post.
Non è il solito stress pre-esami, la solita disfagia paradossa, la nausea dopo troppo caffè. Cioè, ci sono anche quelli, ma non è tutto lì. Non stavolta.

4 mesi francesi a dir poco pieni. Pieni di tutto. 

Ho imparato che gli incontri avvengono quando per una ragione o per un'altra, non necessariamente le più ovvie, siamo al limite. Bisogna capire perchè, e dargli solo il significato che hanno, senza ricamarci su.

Ho imparato che bisogna avere amici con cui parlare in ogni posto dove si è.

Ho imparato che anche -e soprattutto- certi re-incontri/scontri seguono la stessa dinamica, ma richiedono umiltà, coraggio e di mettere in tavola tutto l'amore che c'è. Poi però ripagano di tutto, e lo fanno a vita.

Ho imparato che guardare un bambino che cammina e che corre e che sta dritto è ciò che di più bello la medicina mi abbia offerto finora. Dopo la paura della nuova strada ho capito che c'era un sentiero bellissimo, solido e difficile, persino clinico se si hanno le palle di restare clinici. E non dimenticherò mai le parole del mio chef, Ne te laisse pas faire.
Laura ha detto sì ai bambini sfasciati.

Ho imparato che nessun ampio salone, divano, camera o bosco valgono il lusso di una piscina condominiale. O del mare fuori dalla finestra, che ancora penso sia la cosa più bella che una casa possa vantare oltre alle risate dei bambini.

Ho imparato che un anello al dito non è così spaventoso come pensavo, e in questo caso è come se ci fosse da sempre, perfetto leggero brillante mio, e che il futuro non arriva tra due ore, anche se sembra vicinissimo perchè ci sono mille cose da fare. Quello che ancora non so fare è gestire l'inadeguatezza di fondo che sento per tutto ciò che finora non avevo mai fatto davvero. Tipo, sognare con qualcuno. Volare alto.

Appena rientrata, investita da esami uno dietro l'altro, guardo l'abbronzatura scolorire tristemente e la vita riprendere il suo corso 'normale'. La bellezza di tutto ciò mi era rimasta preclusa finchè non ho sincronizzato l'orologio di fuori con il mio, e non viceversa: sono finalmente serena nel tran-tran, pronta a un anno di quelli dove dai proprio tutto. Che inizia con 4 esami in venti giorni, una cena solo io e mia sorella, un sabato con papà a Roma semplicemente per stare insieme, una vacanza in Croazia, un giro del Viso, del tempo a casa con Andrea.
E poi chissà quando, ma ci sarà, qualche giorno da nonna.
Quel mare che amo e mi manca tanto, stavolta sarà comunque da una prospettiva diversa. 




Ho preso il largo. 


lunedì, maggio 24, 2010

Simple Together

Ci sono canzoni che non vorresti mai divenissero la colonna sonora della tua giornata - o della tua notte bianca.
Stavolta le parole le ho prestate io ad una voce migliore, e mi tornano nello stomaco stringendo il nodo.

Poi lo sguardo cade su un bellissimo petalo rosso di gerbera posato sul tavolo: progettare e sognare è quanto di più bello e penoso sia in nostro potere.
Un buco su di un nodo su un buco e un po' di caffè. La tristezza di una tazzina inutilizzata e della caffettiera non vuota.

Mi sono appena svegliata e già non ne posso più di questo sole.

mercoledì, maggio 19, 2010

Bilan 5x2

Ce post, il faut que ça soit en français. 

Je regarde ma promo souriante et unie devant le département d'Anatomie pour la photos du dernier jour de cours, la photo finale de ces 6 ans de sueurs et fatigue. Je les vois heureux sous le soleil de Florence, tous en attente de la soutenance du mémoire, tous prêts à être médecin dans quelque mois. Je peux pas m'empêcher de sourire.

Il y a un an, j'aurais senti quelque part en moi de la jalousie pour ce qu'ils sont en train de faire et que moi je ferai que dans un an. Il y a un an, mon choix n'était pas si simple, pas si évident comme il l'est maintenant.
Choisir de ne pas garder le rythme de marche des autres pour moi, toujours première, toujours au sommet, n'as pas été facile. Faut dire que j'ai appris à accepter le fait d'être dans la moyenne, ou bien au dessous, bientôt pendant mon cursus d'études: un petit train à vapeur parmi des TGV.

Redoubler c'est un peu perdre, c'est la débâcle, c'est ça. Il faut surtout pas!

C'est seulement après que j'ai fait mon choix de redoubler, choix bien plus difficile par rapport au retourner de la Bolivie ou au quitter le patinage, que je me suis sentie soulagée. Un soulagement comme je n'en sentais plus depuis les années des entraînements à fond sur la glace, quand je sortait pleine de bleues partout et j'étais motivée pour aller bosser Kant. 

Après, je suis partie pour la France. Et c'est là que j'ai finalement découvert que ce que me semblait une offense à mon père (qui par contre était franchement content), ce que toute la famille me reprochait, se révélait être un cadeau pour mes futurs patients. Et, surprise surprise, pour mes patients du présent. Parce-que j'aurais jamais pensé de pouvoir établir le lien entre savoir et savoir faire déjà à 23 ans. Mais les choses viennent petit à petit, et tout a eu sa raison d'être la premier fois que j'ai demandé le bisturi, le moment de ma prèmiere incision.

 Le fait d'être exigeante avec moi-même, si méticuleuse, c'est bien ça mon cinquième fois deux. C'est les choses que j'aurais jamais faites ailleurs, c'est les gens que j'ai rencontré ici, c'est tout ce qui remplit les poches de toute blouse que je mettrai dans ma vie. C'est cette langue, qui trompe les gens chez moi quand je parle. C'est cette ville qui m'a vu grandir plus que Florence pourra jamais, et qui m'a montré que mon futur peut vraiment être n'importe où. 

Alors là, là je regarde ma promo en photo, je regarde tous ces soon-to-be-doctors, à certaines je confierais quelqu'un de ma famille sans soucis, à la majorité des autres même pas une ongle encharnée. Je les regarde, mais je sens que j'ai vraiment rien raté.

Le petit train à vapeur ne regrette rien.

venerdì, aprile 30, 2010

قلب

"The thing about plans is they don't take into account the unexpected, so when we're thrown a curve ball, whether its in the O.R. or in life, we have to improvise. Of course, some of us are better at it than others. Some of us just have to move on to plan B, and make the best of it. And sometimes what we want is exactly what we need. But sometimes, sometimes what we need is a new plan."

domenica, aprile 04, 2010

Gate B05

Un post direttamente scritto in aereoporto ancora non mi era mai capitato.
Presa dal quotidiano, dalla spossatezza, dalle mille cose che compongono la vita di chi vive solo e lavora, scrivere sta diventando sempre meno automatico.
Una volta era un tictictic sui tasti non appena avevo uno spunto. Ricordo che una volta ho scritto qualcosa persino sul Vape alla menta con cui mi intossicavo nelle notti estive per studiare con la finestra aperta senza che le zanzare facessero di me un unico pomfo bipede.
Adesso ho troppe, troppe cose su cui scrivere.

3 settimane fa volevo fortemente buttar giù il mio bilancio di fine stage in medicina vascolare, ma l'inizio del successivo è stato senza una tregua nel mezzo, e da allora se dormo abbastanza è già un regalo, figuriamoci scrivere. A quante mail non ho ancora risposto?
Medicina vascolare, dicevo: un reparto di luci ed ombre. Pazienti che non ce la fanno ad uscire di lì con entrambe le gambe, altri che non ne escono proprio, altri invece che non sono que du bonheur, come si diceva l'ultinmo giorno del mio stgae con la specializzanda più in gamba mai conosciuta, entrambe con gli occhi lucidi dopo aver visto un paziente camminare dopo mesi di degenze e complicazioni, ed una ragazza di 29 anni a tre settimane da una morte fetale, 45 minuti di rianimazione e 3 giorni di coma tornare alla vita normale, a sua figlia di 3 anni e al suo compagno che le aveva sventolato davanti al naso un diamante grosso così e una proposta di matrimonio mentre la stavano stubando.
Come diceva Annabel, que du bonheur. 
Nonostante le morti, i fallimenti terapeutici, le diagnosi pesanti.
Per sopravvivere al nostro lavoro non dobbiamo mai smettere di fare bilanci.


Il mio aereo parte tra un'ora e mezza, potrei forse anticipare la partenza cambiando volo ma in realtà non ho fretta.
Quante ore sono rimasta a casa, a malapena 48? Una ricarica rapida di famiglia, di profumi, di caffè, di abbracci risate confidenza e intimità che con nessun altro ho. Mia sorella e la nostra comunicazione da gemelle, la nostalgia che ho di lei sempre. Mio padre e il suo essere affettuoso, la sua fisicità, i suoi abbracci da orso e come resta in silenzio me e Gaia fare il nostro solito cabaret, guardandoci come trovando una conferma di aver fatto un buon lavoro. Parola mia, non credo avrebbe potuto fare di meglio.
Si può essere così legati, in famiglia? Saprò ricreare questa atmosfera magica che ci tiene coesi anche se lontani, come incollati da elastici, quando avrò una famiglia mia?
Una volta non era così difficile lasciarli indietro mentre tornavo alla mia vita universitaria. Oggi è stato insopportabile. Ho semplicemente paura di perdermeli mentre crescono. E mi sento molto egoista per il fatto di non essere mai lì, mai abbastanza presente.


Oggi scappavo mentalmente dalla pioggia mentre parlavo con nonna, dal cui tono di voce si intuiva il sole che invece splendeva a Bagnara. Pasqua a Bagnara vuol dire mille cose, una vita di ricordi, e mi sono lasciata investire per un attimo mentre preparavo invece il borsone per andare verso nord e poi verso ovest, mentre il richiamo del sud comincia a farsi insostenibile.
Invece torno alla vita che mi sono scelta, lontana, piovosa, per qualche mese ancora vicina ad Andrea, e ai bimbi dalle ossa rotte che mi stanno di giorno in giorno più simpatici nonostante l'orario a cui mi buttano giù dal letto ogni mattina.
Se avessi fatto questi sei mesi a Firenze avrei avuto ritmi distesi, tempo per preparare gli esami ed avvantaggiarmi con leggiadria, tempo per godermi gli amici che mi mancavano lo scorso anno e che mi mancano ora più di prima, e sarei con le mie due splendide coinqui che mi hanno reso lo scorso semestre un vero idillio.
Tolosa mi offre l'occasione di cementare un rapporto, di cimentarmi in cose nuove, di darmi da fare davvero per vedere se questa vita è possibile.


Ogni giorno mi ripeto che ne sta valendo la pena, che prendo più di quanto lascio. Poichè i bilanci si fanno alla fine, prego che mi diano ragione.


Un'ultima occhiata allo specchio prima di imbarcarmi, odio sentirmi meno a posto delle hostess. 

lunedì, marzo 08, 2010

The Mission

Cos'è bene questo post non lo so ancora. Sono le sei del mattino, dalla finestra inizio ad intravedere la neve che cadendo si staglia contro il buio blu di un'alba che non si concede più di tanto. Ieri sera Chiara mi ha passato alcune canzoni, e tra tutte quella di Jovanotti mi regala qualche frase giusta al momento giusto: dopo una notte quasi insonne ascolto un riassunto di tutti i miei pensieri già pronto "La tua vera natura, la giustizia del mondo che punisce chi ha le ali e non vola..."
Vita natural durante dovrò insegnare agli altri -quando io per prima non saprò come fare- come convivere con tutti i lati di me: Laura donna, Laura chirurgo, Laura forse un giorno madre, moglie, primario spero di no, medico senza frontiere invece sì.

Come battezzarlo, questo post, l'ho appena scoperto. Nelle cuffie ho la colonna sonora di The Mission, una musica dove al posto delle pause ci sono i brividi che passano direttamente dall'orecchio alla pelle. Una missione può essere una vita vissuta come un banchetto, dalla spesa alla cucina fino al rumore delle posate nei piatti: una vita quattro stelle Michelin.
Quali sacrifici richiedono però quelle quattro stelle?
Sono pronta a pagare il prezzo?

Forse l'unico modo per essere degni di ciò che ci aspetta, di ciò per cui combattiamo da tanto, è arrivare a saper dire di no di fronte a una cosa più grande di noi che ti condurrebbe altrove rispetto alla tua meta.
Quel 'no'... quel 'no' è la parola più pesante del mondo. Ma solo con uno zaino leggero si arriva lontano.

lunedì, febbraio 08, 2010

Le scarpe ai piedi

Sono tornata sul luogo del delitto da ormai 3 settimane, in questo Sud-Ovest sempre zuppo di pioggia che mi fa sognare il mare di Bagnara, il posto da cui più mia madre è voluta fuggire e l'unico porto dove io ritrovi lei e la mia pace.

Per cosa sono tornata qui a Toulouse, ancora devo scoprirlo per bene. Mesi di tirocinio diverso dalle lunghe estenuanti visite fatte in 12 persone a Medicina Interna a Careggi, mesi per confermare una scelta, mesi per decidere dove far rotta quando sarà il momento di salpare per davvero. Mesi per addestrare la ciurma alle intemperie mentre finalmente si naviga in acque meno mosse.
Mesi anche per convincere le probabilità a schierarsi dalla mia parte: so che sarò responsabile di ogni punto percentuale che avrò contro.

Camminando tra i mattoncini rossi che compongono questa città -che detta così può sembrare fatta di Lego- sento distintamente la sensazione di 'transitorietà'. Ancora una volta, sono di passaggio, ospite nonostante la città sia un po' mia. Come lo è Firenze.

Prendo questi mesi anche per trovare un posto dove sto bene come sto con me stessa, quello che vorrei definire chez moi. Più che trovarlo devo riconoscerlo, ed avere poi il coraggio di mettere radici immaginando lì il ritorno da ogni mio viaggio, l'albero di Natale, le diverse stagioni, risate, volti che ancora non conosco, un calendario dopo l'altro.
Quando capirò che suo skyline è l'orizzonte di ogni mio ritorno, mi toglierò le scarpe.

La suola da consumare è ancora molta... ma che voglia di posare.




giovedì, gennaio 14, 2010

Ayiti


Secondo me è una bambina.
Che l'uomo sia il padre è chiaro perchè non la sta guardando, ma la tiene come fosse il dono di un offertorio.

Nel momento in cui quest'uomo portava a spasso il corpo di sua figlia morta per ciò che resta delle strade di Port-au-Prince io stavo rimuginando sulle incertezze dei miei sogni. Me ne vergogno.

Dominic mi ha ricordato che c'è un sogno a cui diamo in pasto tutta la nostra gioventù, e che questo sogno è l'unica certezza che abbiamo davvero nella vita, incrollabile anche quando la vita stessa si spezza. E non lo dimenticherò più.