martedì, dicembre 20, 2005

Back Home

Il nostro datato e ormai spelufito alberello di Natale illumina con un nonsochè di caldo tutta la stanza, la pallina del Meyer scintilla appesa ad uno dei rami alti, il mio babbo ronfante sul divano -fa parte integrante dell'arredamento!- forma uno splendido ensemble con Enya che vocalizza dagli altoparlanti... scribacchio dalla tastiera pasticciata del pc in sala, avvoltolata nella coperta nera comprata a Tarabuco (quant'è lontana la mia Bolivia) dopo una cena preparata amorevolmente proprio per me da papino. Domani si laurea un mio stracarissimo amico, sono così orgogliosa di quant'è stato bravo, e quindi sarebbe il caso di andare a letto presto, MA stasera che ho una tv a disposizione mi spalmo sul divano, sfrattando il povero Dr.Looh che russa così beatamente, e guardo un pò di roba istruttiva (Nanny, devi ringraziare tuo fratello per la dritta... ho visto la puntata registrata della scorsa settimana ed è stata fenomenale!!)
Le valigie sono ancora quasi del tutto ancora sigillate, forse sul punto di deflagrare, ma oggi NON avevo davvero voglia di disfare il bordello che avevo creato stamane presto. Ieri sera sono stata in Mise, prima ero ai Gigli con Virginia che ora è in Liechtestein a fare compagnia ad Heidi (lo sapevate?! Gossip: anzichè le caprette ha preso i pony... non chiedetemi il perchè!!! :) e poi ero troppo stanca e ancora concentrata sulle manovre che avevamo provato per poter metter mano ai cassetti.
Risultato: stamattina i pinguini che saltano fuori dalla sveglia sono andati PRIMA ad accendere il riscaldamento e poi a svegliarmi, e con una fretta bestiale ho rovesciato gli armadi nelle valigia, saltandoci su per farle chiudere, ho mangiato una fetta biscottata e sono corsa ansando in stazione. Per inciso, questa va raccontata: sull'autobus un tizio che aveva studiato anatomia alla Nunziatella (!!!!!) mi ha iniziato a chiedere la ghiandola di Meibomio (?!) e tutti gli ossicini del metacarpo. No comment.
Dopo aver dato spettacolo sulla scalinata di SMN sollevando due valigie scalino per scalino -PLAUSO ALLE BARRIERE ARCHITETTONICHE- scopro che il treno è in ritardo di 40 minuti. Annaspante e sbraitante convinco con gentilezza il tipo in biglietteria a farmi prendere quello precedente che, in ritardo anch'esso, stava x arrivare. Va detto però che fare tutto questo per fare un viaggio con davanti un trentenne fascinosissimo ne è valsa davvero la pena.
Dai, sono davvero in vena di confessioni sconcertanti: voilà la caduta di stile!! Inizio a raccattare valigie e carabattole varie sparse, mi metto il cappotto, inforco la borsa ed i manici dei bagagli e gli dico con voce quantomai suadente 'Buon viaggio!', e mi avvio verso la porticina di fine carrozza.
La risposta ('Grazie...') arriva qualche istante 'dopo gli spari', ma vabbè, pazienza, non avrà pensato che una tale bellezza stesse augurando buon proseguimento proprio a lui.
Ok, l'epilogo è la voce del capotreno. "Gentili viaggiatori, vi informiamo che tra pochi minuti arriveremo nella stazione di Roma Termini, termine della corsa. Grazie per aver scelto Trenitalia!"

venerdì, dicembre 16, 2005

Lentamente Muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ognigiorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca, chi nonrischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davantiall'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza,
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna
o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

P. Neruda

...e 20


Do you remember?

Quanto vorrei essere a casa, stesa sul tappeto a guardare le foto della mia prima candelina incorniciata dal paio di orecchie a sventola più bello del mondo. Chi sono riuscita a diventare prescinde da chi mi ha amato e mi ama da morire, e ci sono giorni e ci sono notti in cui mi domando se sono stata e sarò all’altezza di tutto questo amore.

Nessuno mi ha mai richiesto di essere forte, non mi avete mai insegnato ad apprezzare le comodità, non è mai stato necessario mettermi a conoscenza del paracadute di riserva, non tutte le giornate sono state di sole, non è una cicatrice in più che deturpa, non ho mai dovuto aspettare che fossero gli altri a far prima di me, non trovo più il tubetto di tempera verde ( Sii flessibile e rialzati con grazia, tutta la poesia di una tenda ed il frinire delle cicale, ma siamo certi che lo inventerai se il tuo non si apre, però quanti arcobaleni hai visto?! quanto piuttosto quello che non avresti potuto ricordare senza, il 50% delle volte è coraggio il resto stupidità, di cyan ne basta una punta e poi tutto il giallo che riesci a spremere dal tubetto che ora è sotto la sedia)

In realtà non c’è molto altro da dire, si tratta di me.

Aspettare la mezzanotteguardando Breakfast at Tiffany's e sullo scoccare della lancettona lo schermino che segna un nuovo sms. Inatteso, puntuale, dolce. Un vero regalo.
Venti minuti dopo –è il fuso orario di mio padre, potrei considerarlo quasi in anticipo!- tre parole per nulla scontate.
Nanny e Virginia (lo sappiamo bene, quando si tratta di loro c’è poco da aggiungere.)


Una notte per raccontarne circa 7300. Una pulcherrima isola fuori dal tempo che per i miei primi vent’anni mi regala un foglio bianco e inchiostro particolarmente rapido e mi esorta a scrivere.

Will you remember?



PS: Zia Audrey dice che quando prendono le paturnie non c'è altro da fare che non andare a fare colazione da Tiffany, perchèp lì non può succederti nulla di male. Sabato mattina proverò.

venerdì, dicembre 02, 2005

In Punta di Lama

Quasi due anni dal brusco distacco dalla pista non sono bastati a far sì che tra me e la strenua, continua e dolorosa nostalgia delle lame si instaurasse una pacifica convivenza, e –da una parte con preoccupazione, dall’altra con profonda soddisfazione- temo che qualsivoglia lasso di tempo non riuscirà nell’impresa. Il ghiaccio è scritto nel mio codice genetico, è una delle poche cose che rimpiango della mia vita in Abruzzo e la sola per cui in alcuni momenti mi piacerebbe tornare indietro nel tempo. Questa nostalgia è subdola, sa acchiapparmi quando meno me l’aspetto, nell’ascoltare una musica che pattinavo o su cui mi riscaldavo fuori dalla pista, quando il vento freddo mi taglia il viso come quando si scivolava veloce nell’allenamento sui fili, con la vista di un carillon dove omini di legno pattinano su un laghetto ghiacciato, quando penso che tra tre mesi ci sono le Olimpiadi Invernali a Torino, ogni volta che mi dico che per pattinare dovrò aspettare di tornare a casa per Natale –il che mi spinge a restar qui per poter studiare il più possibile PRIMA di avere il ghiaccio a portata di piedi… dire che non vedo l’ora è eufemizzare il desiderio rabbioso di tornare nel mio habitat naturale. Scherzateci pure su, ma da quando ho coperto le lame con i loro pigiamini non riesco più ad incantarmi davanti a uno Stars on Ice senza scoppiare in singhiozzi-.

Stamattina Firenze è un freezer, e la tazza di cappuccino fumante qui di lato fa pendant con il pile in cui mi sono infagottata. Le intenzioni che avevo nell’accendere il notebook erano a) dare uno sguardo alle diapositive di biochimica e b) mettere un po’ di musica classica per immergermi nella fosforilazione ossidativa. L’ostacolo che mi ha fatto adoperare il tempo imperfetto nella frase precedente si chiama Emanuel Sandhu, uno dei migliori pattinatori che io abbia mai visto, impegnato in un triplo sullo sfondo del mio desktop. Ed ecco tutto quanto detto sopra percorrere le mie sinapsi con la velocità di una sua rotazione, il cuore che si fa piccolo piccolo, apro una pagina Word, faccio partire "Through Her Eyes" e scivolo dal mouse alla tastiera per raccontarvi il vuoto della pista appena fatta, il suo ghiaccio perfetto, il rumore della porta che riecheggia nel palaghiaccio vuoto su su fino alle tribune e torna indietro appena prima che il clang della maniglia che chiude la pista lo segua a ruota, le nuvolette del respiro nell’aria fredda, immobile. Ti chiama, ti invita a lasciarti andare, a lasciare che sia lui a guidarti sul pentagramma che si snoda dagli altoparlanti. La prima carezza della lama, la prima ferita del ghiaccio è sempre una sorpresa anche per te che ti spingi avanti e acquisti velocità e gote rosse, e tutto quello che viene dopo dipende da te solo in minima parte, è una volontà superiore che ti abbraccia e ti deposita su un un’orbita parallela. Scivola, Laura, non opporre resistenza alla musica –mi pare di sentirla la mia Coach… cosa non darei perché fosse vero!- mettici la tecnica e ricorda che col cuore si vola più in alto, non raschiare con le punte, appoggia e non sbattere, precisa con quelle braccia, chiudi veloce altrimenti giri lentamente… nient’altro che il freddo e il sudore, la spossatezza di tre ore, l’odore della pelle dei pattini e del body fradicio dopo tanti capitomboli, la soddisfazione di un paio di salti ben riusciti e di qualche trottola centrata e infinita, di gesti che si raffinano e del sangue che ti scorre prepotentemente nelle vene e ti incendia il viso. Milena che mi fa un sorriso e che è abbastanza soddisfatta, dopo avermi strapazzata per un pomeriggio. I piedi che urlano vendetta, una lunga e benedetta mezz’ora di stretching con Vanessa e Roberta, a condividere quell’agognato Rittberger in corsa o quel cambio piede su cui proprio non ci siamo.

Fuori dalla finestra il cielo grigio invita a fare solo una cosa: preparare un altro cappuccino. Ma giuro su qualsiasi cosa volete che se mi chiedessero adesso di andare a pattinare con dieci gradi sottozero su una pista all’aperto andrei anche così, nel mio pigiamone rosa con la renna fluorescente. I pattini sono lì, accanto alla porta, aspettando che al Parterre la sconnessa pista natalizia apra gli idranti al pubblico.
Anche quando qualcosa ti manca così tanto per una scelta doverosa che tu stessa hai operato non è così facile evitare che il Grillo Parlante ti dica "Te la sei cercata tu, mia cara!", e allora mi rodo il fegato per quell’inglorioso quarto d’ora in cui penso a Roma con le sue tre Facoltà di Medicina&Chirurgia e le sue quattro piste.
Altrettanto difficile è rinnegare le scelte fatte, soprattutto quando si è consapevoli della loro esattezza. E Firenze era ed è la mia risposta esatta, anche se talvolta fa un casino male dover appendere una parte di te al chiodo per seguire tutto il resto.
E pur di pattinare raccatto le briciole di granita su cui due anni fa non avrei nemmen poggiato il coprilama.

Bonne Journée..




giovedì, novembre 17, 2005

Ventitrè

Come è possibile che la serenità di una persona possa annullarsi come per magia, come se un invisibile tasto “Canc” fosse stato premuto per sbaglio? Non avrei mai creduto di potermi trovare, ancora una volta, inerme contro i colpi bassi inaspettati e stupida al punto da usare un misero numero come metro valutativo del mio impegno, della mia passione, della dedizione che ho buttato dentro lo studio dell’ultimo mese. E’ come se di colpo fosse svanita tutta la certezza di aver fatto il mio dovere, o perlomeno di averlo fatto per bene. Ora, accidenti, il seguito più logico sarebbe questo:

E’ stato come se anziché aver tatuato il Balboni nella testa avessi fatto uno scarabocchio con l’inchiostro simpatico, ma non un inchiostro qualsiasi, nooo: questo –perché, ragazzi, quando faccio le cose le faccio per bene, io- è di quello corredato di timer! Cioè, dalle ore 16 alle ore 17 del 15 novembre al posto delle frasi e dei vasi c’erano solo lunghe file di puntini di sospensione.

E INVECE DIREI PROPRIO DI NO!!


Perché se parlassi di tabula rasa non solo mi autoinsulterei, perchè vorrei dirla lunga sulle dimensioni del mazzo che mi sono fatta, ma sarei anche falsa. Eccome se si legge questo tatuaggio! Il punto è che, sulla base del principio del massimo rendimento con il minimo sforzo ( altresì detto ‘Non disperdere energie’) ho optato per un po’ più di serenità e un po’ meno cavilli accademici. Di quel che ho fatto non cambierei assolutamente una virgola.

E allora perché mi dolgono i muscoli mimici quando mi viene chiesto “Come stai?” e automaticamente sorrido nel rispondere che non potrebbe davvero andar meglio, perché studio per amore, perché ho un gruppo di amici che tengono a me, perché ho appena mangiato un cornetto con tanta crema e perché ieri sera c’era una luna incantevole su Palazzo Vecchio. Però mi piacerebbe far esplodere tutta la rabbia che mi scorre nelle vene ( Quali? dalla salvatella alla tibiale posteriore, passando per il plesso rettale ) e tutta la stupidità riemersa come un residuato bellico. Questo notebook illumina a giorno tutto ciò che ha nel raggio di mezzo metro, e dietro lo schermo sorridono i visini dei miei ninos e di Enzo, una foto di Bagnara, una lettera del mio babbo che mi fa luccicare gli occhi ogni volta che ci poso sopra lo sguardo, pastrocchi di amici e un biglietto di mia sorella. Allora mi chiedo se questo peso sullo stomaco abbia o meno il diritto di star lì, tra le cose importanti della mia vita. No, no che non ce l’ha.
Però lo sapete bene, quando una cosa decide di imporsi nei pensieri e di fare il bello e il cattivo tempo non è che si possa arginarla a piacimento. Ecco perché nonostante tutta la mia IMMENSA fierezza e gioia per i risultati stupendi dei miei amici, nonostante tutti i rimproveri che mi rivolgo da sola, nonostante qualsivoglia buon proposito e qualsiasi invito al festeggiamento, quando chiuderò questo schermo tornerò ad autocommiserarmi stupidamente una volta di più, per una cosa che non merita né lacrime, né considerazione, né riflessione.
Ma che ora le ha tutte e tre.

sabato, novembre 12, 2005

Stream of Consciousness

De Gregari docet:
“Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai
Possono prendere due imbarchi diversi
Ma sono sempre due marinai..”


Sabato sera, ore 21.20

Ho le dita dei piedi a cubetti di ghiaccio, appollaiata su questa sedia praticamente da stamani alle 10 a balbettare frasi sconnesse che avrebbero voluto essere specchio di un mesetto buono di studio. Ebbene, a dispetto di quanto non possa sembrare, la cosa si è rivelata particolarmente difficile da realizzare, almeno fino a che non mi sono immedesimata alla perfezione in un eritrocita con il pallino dell’orienteering… da quel momento si sono aperte davanti a me più strade di quanto non avessi mai immaginato, e tutto non è diventato altro che un Grande Raccordo Anulare Particolarmente Estroso ed Intelligente.
Essendo però giunta alle 21.20 di sabato sera senza altra prospettiva che quella di una ulteriore –diciamo meglio ennesima- rilettura del Balboni ( non mi voglio così tanto male, state tranquilli…) ho optato per un parcheggio tattico, mi sono lasciata trasportare dal pentagramma del mio Media Player e ho cominciato a picchiettare sui tasti la scorsa settimana.
Non mi ero resa nemmen conto di quanto ne avessi bisogno.
Bisogno di scrollarmi di dosso una overdose di stanchezza e di occhiaie e di pensieri indiscreti, bisogno di raccattare tutti i momenti di risate e gesti dolci e di sferruzzarci una coperta calda da poggiarmi sulle spalle mentre faccio un infuso dei giorni appena trascorsi, annaffio di miele di castagno e mando tutto giù.
Peccato che questa sia una delle volte in cui la pillola non cala come vorrei, ci sono criteri dimensionali un po’ difficili da ignorare. Quello che mi scoccia terribilmente non è quello che è successo, ma quello che non succederà, e per una paladina del tentativo come me avere un rimpianto al posto di un rimorso è un grosso smacco. (Ci risiamo con il linguaggio criptico… perdonate il mio odioso non dire quando cerco di esprimere qualcosa, ma ho alcuni concetti impigliati nelle sinapsi che trovo sia meglio mantenere ineffabili!)
Così, quando ho i piedi ormai prossimi all’insensibilità senza ritorno, con il vago sentore di fiele che aleggia e campeggia nelle righe e nei giorni precedenti, con la tisana accanto a me ormai fredda le note di Carribean Blue mi riattivano la circolazione e la voglia di allontanarmi dalla zona d’ombra.
Come stavo per dire prima che arrivasse la chiamata di Dani, c’è una forza testardissima di sopravvivenza che quando non riesce ad attivarsi in modo endogeno esce e si personifica nei miei luminosi tenaci tenerissimi amici, che assecondano incredibilmente tutte le esigenze che io non faccio nemmeno in tempo ad elucubrare. Non capirò mai come fanno, né come faccia io a meritarmeli.
In un approssimativo riassumendo del mio firmamento a tutto tondo, una Stella Fissa, un abbondante centinaio di Croci del Sud e una grossa manciata di Stelle Polari, oltre ad un luccichio transiente che si appropinqua al Sol Levante.


Ma dico, chi non vorrebbe un simile cielo?

sabato, novembre 05, 2005

La vita è bella

Un lusinghiero rimando a Benigni per cominciare la summa della settimana n°5 del semestre, sintetizzabile semplicemente con queste parole. Magari ti stai chiedendo cosa c’è stato di tanto straordinario nella mia settimana che volge al termine da farmi vedere tutto tanto radioso. Vediamo un po’…
Lunedì
ero con la mia famiglia;
ho rivisto un mare di gente a cui voglio bene che non vedevo da parecchio -qualcuno con l’ausilio di un serie di fortuite e provvidenziali coincidenze da sceneggiatura hollywoodiana-;
c’era il sole;
sono tornata a Firenze;
ho passato Halloween con gente interessante.
Martedì
ho dormito fino a mezzogiorno;
ho ricomprato gli yogurt alla nocciola;
ho studiato l’intero pomeriggio;
ho cenato con persone a cui tengo molto;
c’era il sole.
Mercoledì
ho evitato una soporifera lezione di biochimica
passando invece l’intera giornata a ciarlare;
ho rivisto i miei splendidi amici;
ho riso un monte;
ho visto “La sposa cadavere” di Tim Burton;
c’era il sole.
Giovedì
c’era il sole;
ho passato quattro ore di lezione bellissime;
ho detto ad un’amica che ci sarò sempre e che le voglio bene;
ho passato il pomeriggio a studiare con i miei amici;
ho ricevuto un dolcissimo messaggio.
Venerdì
ho trascorso quattro interessanti ore di lezione
e ho avuto l’onore di ascoltare le parole più belle che uno studente di M&C possa mai sperare di sentire, pronunciate da una delle tre-quattro persone che più stimo al mondo;
ho tolto il dito da uno sciocco tasto focus per pigiare di nuovo l’autofocus (perdonate il gergo ermetico… più criptico di così diventa sibillino!);
ho letto un commento al precedente post –Grazie Tommy!-;
ho pranzato con i miei amici;
c’era il sole;
ho studiato con i miei amici;
ho mangiato una fetta di torta che grondava cioccolato&lipidi.
Oggi sto scrivendo queste parole, ed il solo fatto di potermi esprimere mi fa stare bene. Sto aspettando Nanny che sarà qui a momenti.

No, questa settimana non c’è stato nulla di straordinario.
APPUNTO.
E’ quando puoi dire che l’ordinarietà illumina una giornata che hai davvero fatto centro.

Enjoy your weekend!

domenica, ottobre 30, 2005

"Non sono d'accordo con quello che dici ma darei la vita perchè tu possa dirlo."



Giusto la persona qui di fianco poteva mettersi in bocca Voltaire come fosse un panino con il lampredotto. Una persona che, di mestiere, trova le parole giuste.
Grazie Roberto.

Una domenica meno qualunque di una qualunque altra domenica

Dietro di me mia sorella sta perfezionando la sua tecnica di juggling facendo saltare il piatto sull'asticella -con mia somma gioia, non solo ho azzeccato quello che mi aveva chiesto di portarle ma ho trovato un nuovo hobby anch'io!!-, dietro di lei il cielo è terso ed il sole splende forte su una cittaducola che, secondo me, non sa proprio che farsene della magnificenza di un raggio si sole novembrino sul viso (papà non è d'accordo e stressa. Ma una volta la libertà d'opinione/espressione non era sancita dalla Costituzione?! In tempi di silviesca fattura inizia la proscrizione e dilaga la censura... :)
Sono in rapida incursione in Abruzzo per prendere un pò di cose che mi servono per lo studio e domani ripartirò verso Florentia- domani sera vado con Vane alla festa a Santa Marta... DEVO tornare!!- sperando di riuscire a concludere qualcosa in termini di studio tra oggi e domani. E poi, mi mancano i miei amici. Però è bello una tantum essere abbracciata da papà che ti porta il caffè al risveglio.

Generalmente la domenica è odiosa e solitaria, e oggi è un piacevole diversivo nel comune andazzo del calendario. Se riesco anche a strapazzare Enzo e Andrea sarò ancora più soddisfatta del mio operato.
Bacini a tutti ( Virgi, Nanny, Lucy, Scpabbara, Ile, Dani, Paolino, Andrea - la nostra new entry!- e Peppe)
Lau

sabato, ottobre 22, 2005

L'intera collezione Bags of Prada Fall-Winter 2005


Vale a dire le mie occhiaie stamani, dopo quattro ore di sonno e mezza passata a tendere agguati alla sveglia sopravvisuta a diverse manate rabbiose (quell'aggeggio sta iniziando a diventare un fattore ansiogeno).
Fortunatamente dopo un pò si accende l'Eureka e ricordo che c'è sempre qualcosa per cui vale la pena alzarmi dal letto:

a) La mia classica, lenta, sontuosa colazione con jogurt alla nocciola, germe di grano, frutta e Melrose Breakfast Tea che ha il potere di rimettermi al mondo;
b) La beatitudine dell'acqua fredda sul viso;
c) Mezz'oretta di stretching sul parquet;
d) La passeggiata fino in Facoltà ascoltando musica, e quando piove
e) Condividere un pezzo di strada con una lumachina in fase di trasloco;
f) Sapere che sarà un giorno in cui qualcuno mi insegnerà qualcosa di nuovo;
g) Sapere che è un giorno in meno che mi separa dal rivedere le mie Croci del Sud.

Non sarebbe affatto difficile andare avanti ad oltranza se solo la clessidra fosse corredata di un tappo, ma non lo è... e quindi è bene che cominci la rincorsa all'agenda di oggi.

HL!

venerdì, ottobre 21, 2005

Que te vaya bien

Questo blog comincia per caso come quasi tutte le cose più belle che mi sono successe. Chiunque voglia potrà vederlo gattonare e poi zampettare spensierato, ma in modo particolare spero che, di tanto in tanto, quando meno oberati da carichi di studio da ciuchini, i miei splendidi amici possano trovare qui uno sguardo oltre la siepe (o, che dir si voglia, oltre la mastodontica pila di libri delle nostre scrivanie) di cui saranno sempre parte, mi piacerebbe far sì che scrivere divenga un modo anche per loro di conoscere le mie sinapsi e di sopportare ancor più stoicamente le mie escursioni d'umore. Chi mi conosce lo sa già: scrivere mi libera, mi esalta, mi completa, ed un ulteriore spazio dove far fluire in libertà le mie elucubrazioni è davvero il benvenuto - I miei Moleskine potrebbero dar da bere inchiostro ad un cammello disidratato per qualche mese -.
Termino qui perchè è il caso di tornare a studiare qualche arteria, visto che da grande vorrei diventare cardiochirurgo...
Mi racconterò non appena le giornate si estenderanno automaticamente a trentasette ore.

Hasta luego!

martedì, agosto 23, 2005

El Hilo Rojo - Dove tutto è cominciato

Una sessantina d’ore fa l’aereo della Areolineas Argentinas colpiva seccamente la pista dell’aereoporto Leonardo Da Vinci con il carrello e scivolava sul suolo natìo, più o meno dolcemente a seconda di cosa ciascuno dei passeggeri si stava lasciando alle spalle. L’aereoplanino sul maxischermo di fronte alla corsia centrale lampeggiava insistentemente su Roma, dando la coda alla sottile linea rossa che lo teneva legato come un palloncino a Buenos Aires, mentre febbricitante raccattavo le mie cose sparse qui e là intorno al posto 33D e carica come un ciuchino mi lasciavo dietro le discretamente turbolente 20 ore di volo complessive, perché el hilo rojo, il filo vermiglio del mio palloncino a forma di Boeing 747 era ancorato a Santa Cruz e passava per Assunciòn. Lo stesso sole che per tutto lo scorso mese era stato un poncho di alpaca non riusciva nemmeno a far vacillare i brividi insistenti che mi correvano addosso: lasciato il palloncino dietro di me alle prese con rifornimenti e scarico bagagli, con una mano sola tentavo di chiudere la borsa guaranì stracolma e sistemare lo zaino sulle spalle.
Ma se c’è una cosa che avevo appena imparato è proprio quella di accettare i propri limiti, ed allora ho aperto la mano sinistra serrata su una corda di cui solo io conoscevo le dimensioni e ho lasciato finalmente andare il mio cuore dove avrei dovuto essere io in quel preciso istante, con la serena certezza di chi sa cosa sta facendo perchè non era qui che quel cuore avrebbe potuto star bene, non era qui che serviva.
Con la mano destra ho tirato su velocemente la borsa dalle cuciture salde benché messe a dura prova, con la sinistra lo zaino e mi sono voltata prima di calpestare il marmo lucido degli Arrivi Internazionali per guardare la corda scomparire rapida all’orizzonte.

Dal finestrino della macchina osservavo distratta l’imbrunire trasformarsi in notte e le stelle far capolino dal velluto blu solcato da grossi nuvoloni minacciosi: piccole punture di spillo a stento visibili anche da chi, a differenza di me, non ha insolenti febbriciattole che gli fan copiosamente lacrimare gli occhi… La notte precendente ( o forse quella prima ancora? Questa volta il jet lag mi ha sconquassato il ritmo circadiano… ) avrei potuto vedere le galassie e la Croce del Sud anche se Ana, Juanita, Walter o Edwin mi avessero bendato con una sciarpa di lana, tanto il cielo della Bolivia è incastonato di grossi grezzi cristalli Swarovskj. Inoltre la sera prima c’era anche la luna piena, e sembrava ci fosse un enorme tendone di raso tinteggiato di un voluttuoso color indaco. E prima che la luna fosse piena sembrava il largo sorriso dei bambini, con la gobba rivolta verso il basso, come una culla sospesa sulla Cordillera…

Dicono che l’unico antidoto alla flebo di fiele sia un liquado di Dona Ines e una overdose di baci ed abbracci di cento bambini e ragazzi dal sorriso di madreperla, dalla pelle color cioccolata piena di punture, feritine, bruciature e terra e dagli occhi in cui si può annegare, che ridono come spero che miei eventuali figli rideranno, con gioia selvaggia e tutta la forza dei loro pochi difficili anni, che ti stritolano come cuccioli di boa e ti accalappiano il cuore che ho scoperto vuoto prima di loro, che scoppiano in lacrime di punto in bianco per le cose disperanti che gli tornano in mente del loro passato e che gli passano nello sguardo come nuvole, rannicchiati in un angolino da soli o più spesso la sera a letto, quando rimangono soli con i loro fantasmi, i loro mostri dai volti familiari, che ti si aggrappano a qualsiasi angolo di maglia o ciocca di capelli rimasta libera, che ti dicono candidamente che erano diversi mesi che nessuno li abbracciava tranne Madre Grazia, la suora francescana che si è votata a loro e che come una incredibile factotum ne combina più di loro e per loro fa carte false e per loro piange e per loro si inventa di tutto e di loro ha fatto una grande famiglia, che non ti lasciano mai sola e che ti rendono 8 ore di sonno insufficienti per stare in piedi, ma le 16 seguenti un bellissimo, faticosissimo, impagabile sogno ad occhi aperti, che mi hanno rivelato il senso che la vita ha di per sé e che una grossa fetta di quello su cui focalizzavo l’attenzione e che reputavo irrinunciabile-meraviglioso-inestimabile è in realtà una grande sega mentale, che hanno pianto perché andavo via ma che mi hanno spinto a farlo perché devo studiare duro, y que todo te vaya bien Laura y que Dios te bendiga y feliz viaje.

Ancora mi chiedo e ancora mi chiederò cosa faccio qui, nell’emisfero e nel continente sbagliati, sola davanti a uno schermo, quando so che l’unico posto dove dovrei essere è a giocare a basket a piedi nudi o a raccogliere papaya o a bagnarmi al Rio o a lasciarmi assalire da trenta contemporanee richieste gioiose, e provo a rispondermi che è questo il mio posto – bugiarda, bugiarda, bugiarda - e che ora devo portare qui il fuoco che i ninos mi hanno acceso dentro. Fuori dalla finestra sono le 2 di notte italiane, ma il mio fuso orario è a cena nel comidor di Camiri, il vento porta i miei baci e le mie carezze alle mie 98 Cruz del Sur che mi brillano negli occhi e che mi indicano il cammino giusto da percorrere, che sarà di certo intricato e ricco di circonvoluzioni, ma non ho bisogno di una mappa per sapere che tutte le strade mi riportano lì.
23 agosto 2005