martedì, ottobre 27, 2009

La favola bella dell'anno Maya - dieci giorni a San Francisco

La baia arancione dorme ancora nella sua coperta umida mentre le ruote del volo DL 68 si staccano dalla pista e rientrano nella pancia dell'aereo per non disturbare troppo le nuvole di sotto. La penna -rigorosamente governativa- danza sul foglio per raccontare in che strano modo mi mancherà San Francisco, e intanto sorvolo il Pacifico.
Sulle strade, i pier, i tram storici di quella strana e meravigliosa città camminano più senzatetto che non sanno cosa fare delle proprie ossa che non uomini d'affari: persino nel Financial District questa folla di camminanti perenni -sempre dignitosa pur nella follia o n
ella povertà- è stata spettatrice dell'insane happiness che ci ha avvolto come la nebbia fa col Golden Bridge.
Svelando la città in tutti i suoi dislivelli si ha modo di parlare, di meravigliarsi insieme, di riprendere respiro, riconoscersi e confrontarsi: per queste cose sono fondamentali la linea F, i gamberetti al cocco di Bubba, il risotto di mare de L'Ideale e il tacchino di Tommy's Joint.
Fish and chips al mercato, zuppette dal giapponese e granchio fritto dal cinese , per quanto caldamente sconsigliabili a tutti, hanno messo alla prova il 'nella buona e nella cattiva so
rte' giusto perchè, you know, non si sa mai... :-)

Dieci giorni in una sola città possono sembrare troppi, ed invece un paio di più vanno messi in conto perchè you really never know: vatti a immaginare che le chiese sono chiuse la domenica, oppure ti capita che la nebbia non si alzi da Ocean Beach e quindi sei fregato. Nulla toglie che messo piede due blocks più in là il cielo sia di un blu più accecante del sole, quasi a ricordarti che in fin dei conti sei in California; la brezza fredda col sole caldo è un regalo non solo per i turisti, ma soprattutto per gli homeless che finalmente possono dormire senza battere i denti.

Mai avuto tanto blu intorno come in questi giorni nella baia, e mai tanto meno bisogno: in un paio di cm quadrati era racchiuso tutto l'azzurro che mi sta a cuore.
Ero stata messa in guardia dal vento freddo, e la sciarpa verde petrolio di Alessandra ha egregiamente tappato gli spifferi che il mio scudo umano non è riuscito a coprire con un abbraccio: è grazie a lui se il lato caldo della città ha prevalso sulle umilianti scene di anziani che rovistavano nell'immondizia. La sua stretta e i suoi piccoli gesti mi hanno ricordato quanta cura c'è nel mondo dove lui mette mano, ed è un mondo che vorrei custodire.
Nessun altro avrebbe passato ore a guardare i leoni marini con me, riempito la mia valigia
di penne federali, girato per musei ed acquari ogni giorno, condiviso un cigarillos alla vaniglia, assecondato gli esperimenti culinari meno digeribili, taciuto il fatto di soffrire il mal di mare per andare a cercare le balene con me. Ma soprattutto, non avrebbe lasciato a molte altre persone carta bianca per un viaggio da organizzare a sua insaputa, e non guarda nessun'altra in quel modo che mi fa sentire un fiore.

Tra poco atterro a Roma e questo post scritto tra San Francisco, la Georgia e il Lazio vorr
ebbe tanto raccontare dei diversi quartieri della city più piena di bouganvilles del mondo, dei grattacieli del centro e Chinatown, North Beach dove lo Stivale è sui pali della luce, di Haight-Ashbury e dei suoi residui hippies, di Castro e dei suoi eccessi, di Mission e dei suoi ricordi, di Marina e della sua ricca quiete, ma pretendere che un post cammini con i nostri ritmi è un po' troppo, e una cronaca noiosa non si addice a questo viaggio che è stato corrente ad alto voltaggio per delle pile scariche. Mi ha sgombrato il cielo dai fantasmi che vi abitavano, come fa il vento con i pilastri del Golden Bridge.
Custodisco un cuore arancione e limpido, sebbene qui al binario 12 di Tiburtina nessuno se ne curi. So che una volta arrivata a casa c'è chi vedrà questa splendente felicità sul mio volto.

Grazie, am...Andre. :-)