domenica, agosto 30, 2009

La vie en violet - un anno in Erasmus

Nessuna parola è quella giusta per cominciare, ma stavolta dovrò far poco la schizzinosa.

Torno da un anno temprante, ancora scombussolata, ancora intenta a riprendere fiato.
Ero partita convinta di scrivere soltanto, e invece questa Francia ha anche cancellato qualcosa, ovvero il mio vizio di dare le cose per scontate. Di assumere che tutto andrà bene per forza. Questo genere di crescita non arriva gratis: imparare a conquistare avamposto per avamposto ogni cosa mi ha svuotata della serenità impostata di default nel mio cervello.
Ho posato le valigie nella mia stanzetta nel campus ancorata alla visione en rose di tutto. Quando ho iniziato a chiamare con il giusto nome (loculo) la fino ad allora piccola, chouette chambre, lì ho capito che qualcosa stava cambiando. Che io stavo cambiando.
I francesi non sono tipicamente stronzi, sono stronzi e basta. Il primo mese non capisci niente quindi ti rodi il fegato e non puoi nemmeno rispondere. Il gusto buonissimo delle sfuriate en langue dei mesi successivi non ha prezzo... e parlo sia di quelle fatte - segreteria studenti, specializzandi, studenti di secondo anno, ferrista- che di quelle incassate -neo strutturato di pneumologia, ferrista.
La vita ospedaliera è stato il sogno principale di tutto l'anno, due mesi per volta: difficilissima Pneumo dell'inizio, superlativa Cardiochirurgia, prosciugante Pronto Soccorso, rilassante Chirurgia Plastica. Quasi dimenticavo, vestire lo smezzato azzurro che appena lo infili ti senti più sexy che in intimo di pizzo valeva l'intero Erasmus.
Gli esami... il peggiore incubo. Gli Erasmus di Medicina lì hanno più doveri degli altri studenti, ma qualche diritto in meno. Se si fosse saputo all'inizio ci si sarebbe organizzate diversamente.

Se non fosse stato per le persone che han battuto le strade, i quais e le crêperies di Toulouse con me questo anno sarebbe stato un vero inferno.
I nomi sono quelli che popolano le foto che riempiono hard-disk e profilo di FB, alcuni scritti davvero in grassetto: Roberto, Ester, Valentina, Maria, Sancho, Clèm, Dodji. E poi Sebastien, Alberto, Clarisse, Silvain. Alessandra, la mia compagna d'avventura nonchè nuova coinquilina. E Andrea, la mia scommessa più inaspettata e grande.
Senza di loro, sarebbe stato un anno gramo.
Gramo, nonostante Toulouse da sola mi abbia rubato un angolo di cuore e lo tenga con sè, nelle stradine profumate, nei fiori delle aiuole, nei cafè tranquilli, nelle bandiere del Capitole, nella chiesa dei Dominicains, nelle stanze del CCU, nella linee e fermate della metro - Pharmacie, Carmes, Patte d'Oie e Roseraie. Nelle sale operatorie di Cardio.


Il 1° ottobre dello scorso anno scrivevo:

Per me, che non cercavo il Paese di Bengodi ma volevo inventarmi un modo per crescere come medico, questa Francia va infilata come un camice. All'inizio vai in giro tronfio, poi per buona parte del tempo ti chiedi come si porti addosso. Arriverà il momento in cui questo camice sarà una seconda pelle.
Questo Erasmus ha un sapore molto meno festaiolo di quello che leggo nelle mail che mi arrivano ogni giorno dalla Spagna. Ma lo sapevo, e va benissimo così.
Qui... qui c'è la mia sfida, e non lascerò l'arena finchè non avrò vinto, per difficile che sia.

Sono ripartita venerdì dall'arena, sfinita e con un sacco di stress da smaltire. Però, signori miei, ho vinto. E col senno, la fatica e i ricordi del poi so che non era per niente scontato.
Il bello di tutto ciò è che non lascerò che niente di meno forte osi solo pensare di potermi abbattere.