Qui è dove io ero me stessa, dove mi spogliavo di tutto, muri, maglioni, maschere, quest'acqua è l'acqua dentro cui io mi sentivo davvero priva di peso e di pensieri, e nella mia vita i pensieri hanno sempre pesato più del resto (ed il resto pesava pure, eh).
Qui sono sbocciata come persona, durante le estati rimettevo insieme i pezzi del puzzle che preparavo accuratamente d'inverno uno per uno e a metà luglio mi guardavo nello specchio e scoprivo cos'ero diventata: mi vedevo -incredula- spesso bella, bella del sole, e ora so che ero soprattutto bella del possibile e dei brividi dell'ignoto, del sapore nel naso dell'aria di ogni dopocena uscendo, del gusto pulito dell'aria della notte tornando. Dei piedi ancora salati, dell'ultimo sms prima di crollare. Qui è il posto che per ultimo ho condiviso, dove mai nessuno che non fosse già qui mi aveva accompagnata, prima di Lui. Qui mi sono emozionata di ogni emozione umana.
Perlomeno, credevo. Fino ad oggi.
Stanotte ho preparato due valigine, caricato la station wagon di un mio trolley e di tutti i suoi ammennicoli, mi sono svegliata alle 4 e ho caricato i nove chili e nove mesi di mia figlia in macchina, per portarla qui. Non per passarci un momento, no. Proprio per portarla. Per farla restare.
Erano venticinque anni che nessuno di nuovo dormiva in questa casa.
Posare la sua valigina. Nella doccia dove guardavo con fierezza il segno del costume ogni sera più nitido, il mio marchio della felicità, fare il bagnetto alla sua pelle chiara e al suo tintinnare allegro.
Montare il suo letto, e rinunciare al mio solito posto per starle vicina.
Chi rassicura chi, stanotte?
Io rassicuro lei in questo nuovo ambiente, o lei rassicura me nella novità che porta in questo vecchio ambiente?
Ho infilato il suo passeggino nel posto che era della bici di mio cugino. Le ho fatto percorrere in braccio delle scalette strette chiedendole scusa per le volte in cui la copriró avendo freddo io. Ha camminato sulle mattonella sbreccate del balcone che usavo come solarium. L'ho portata a vedere i miei posti del cuore, ma lei era molto impegnata a ciucciare la mia collana, a salutare i passanti accigliandosi se non veniva ricambiata, e a spararsi botte di sonno che lèvate.
Mentre richiudevo alle mie spalle il cancellino di casa ho trovato il bandolo della matassa di sensazioni che mi si sono piantate dentro, che il diaframma contiene ma che cercano di erniare.
É la gelosia, il mio nuovo sentimento. Sono gelosa di quella che ero, del solo mio, del mio passato e dei miei ricordi, delle mie pietre calde e dei miei libri. E per lei, solo a lei, ho ceduto qualcosa di estremamente privato. Comunque cerco ancora di strappare morsi al tempo, morsi di persone e cose e gusti che ho paura che scompaiano. Qualcosa, qualcuno già non c'era oggi, ed era tutto imperfetto.
É la paura di morire dentro alla fine di qualcosa, un lato nuovo del sentimento. Se un giorno una granita dovesse non avere lo stesso sapore, o l'origano profumare meno, o un abbraccio mancare per il corso del tempo o delle cose, che ne sarà di me? Dove mi ricomporrò?
Poco fa sono andata a guardarla dormire, ed é successa quella cosa per cui a tratti mi sento una pessima madre. Mi sono sentita in orbita, nuovamente, ma con lei come centro gravitazionale. E il mare é troppo mosso per annegarci il pensiero, pesantissimo, di essere ingiusta nel dare a lei questo ruolo di sole. É lei che deve trovare in me la pace, non viceversa. Accadrà mai?
Posando lo spazzolino da denti mi sono guardata allo specchio, quello dove mi ricomponevo... e per un attimo sono scomparse le occhiaie, il pallore, gli occhi stanchi, e mi sono vista bella. Bella di questo nuovo, piccolo, potentissimo sole.
Dopodiché ha strillato nel sonno. Le é bastata una mia mano sul pancino e di nuovo respira lentamente. In pace. E allora mi godo la mia orbita, sentendomi un pochino meno egoista.