"The thing about plans is they don't take into account the unexpected, so when we're thrown a curve ball, whether its in the O.R. or in life, we have to improvise. Of course, some of us are better at it than others. Some of us just have to move on to plan B, and make the best of it. And sometimes what we want is exactly what we need. But sometimes, sometimes what we need is a new plan."
venerdì, aprile 30, 2010
domenica, aprile 04, 2010
Gate B05
Un post direttamente scritto in aereoporto ancora non mi era mai capitato.
Presa dal quotidiano, dalla spossatezza, dalle mille cose che compongono la vita di chi vive solo e lavora, scrivere sta diventando sempre meno automatico.
Una volta era un tictictic sui tasti non appena avevo uno spunto. Ricordo che una volta ho scritto qualcosa persino sul Vape alla menta con cui mi intossicavo nelle notti estive per studiare con la finestra aperta senza che le zanzare facessero di me un unico pomfo bipede.
Adesso ho troppe, troppe cose su cui scrivere.
3 settimane fa volevo fortemente buttar giù il mio bilancio di fine stage in medicina vascolare, ma l'inizio del successivo è stato senza una tregua nel mezzo, e da allora se dormo abbastanza è già un regalo, figuriamoci scrivere. A quante mail non ho ancora risposto?
Medicina vascolare, dicevo: un reparto di luci ed ombre. Pazienti che non ce la fanno ad uscire di lì con entrambe le gambe, altri che non ne escono proprio, altri invece che non sono que du bonheur, come si diceva l'ultinmo giorno del mio stgae con la specializzanda più in gamba mai conosciuta, entrambe con gli occhi lucidi dopo aver visto un paziente camminare dopo mesi di degenze e complicazioni, ed una ragazza di 29 anni a tre settimane da una morte fetale, 45 minuti di rianimazione e 3 giorni di coma tornare alla vita normale, a sua figlia di 3 anni e al suo compagno che le aveva sventolato davanti al naso un diamante grosso così e una proposta di matrimonio mentre la stavano stubando.
Come diceva Annabel, que du bonheur.
Nonostante le morti, i fallimenti terapeutici, le diagnosi pesanti.
Per sopravvivere al nostro lavoro non dobbiamo mai smettere di fare bilanci.
Il mio aereo parte tra un'ora e mezza, potrei forse anticipare la partenza cambiando volo ma in realtà non ho fretta.
Quante ore sono rimasta a casa, a malapena 48? Una ricarica rapida di famiglia, di profumi, di caffè, di abbracci risate confidenza e intimità che con nessun altro ho. Mia sorella e la nostra comunicazione da gemelle, la nostalgia che ho di lei sempre. Mio padre e il suo essere affettuoso, la sua fisicità, i suoi abbracci da orso e come resta in silenzio me e Gaia fare il nostro solito cabaret, guardandoci come trovando una conferma di aver fatto un buon lavoro. Parola mia, non credo avrebbe potuto fare di meglio.
Si può essere così legati, in famiglia? Saprò ricreare questa atmosfera magica che ci tiene coesi anche se lontani, come incollati da elastici, quando avrò una famiglia mia?
Una volta non era così difficile lasciarli indietro mentre tornavo alla mia vita universitaria. Oggi è stato insopportabile. Ho semplicemente paura di perdermeli mentre crescono. E mi sento molto egoista per il fatto di non essere mai lì, mai abbastanza presente.
Oggi scappavo mentalmente dalla pioggia mentre parlavo con nonna, dal cui tono di voce si intuiva il sole che invece splendeva a Bagnara. Pasqua a Bagnara vuol dire mille cose, una vita di ricordi, e mi sono lasciata investire per un attimo mentre preparavo invece il borsone per andare verso nord e poi verso ovest, mentre il richiamo del sud comincia a farsi insostenibile.
Invece torno alla vita che mi sono scelta, lontana, piovosa, per qualche mese ancora vicina ad Andrea, e ai bimbi dalle ossa rotte che mi stanno di giorno in giorno più simpatici nonostante l'orario a cui mi buttano giù dal letto ogni mattina.
Se avessi fatto questi sei mesi a Firenze avrei avuto ritmi distesi, tempo per preparare gli esami ed avvantaggiarmi con leggiadria, tempo per godermi gli amici che mi mancavano lo scorso anno e che mi mancano ora più di prima, e sarei con le mie due splendide coinqui che mi hanno reso lo scorso semestre un vero idillio.
Tolosa mi offre l'occasione di cementare un rapporto, di cimentarmi in cose nuove, di darmi da fare davvero per vedere se questa vita è possibile.
Ogni giorno mi ripeto che ne sta valendo la pena, che prendo più di quanto lascio. Poichè i bilanci si fanno alla fine, prego che mi diano ragione.
Un'ultima occhiata allo specchio prima di imbarcarmi, odio sentirmi meno a posto delle hostess.
Presa dal quotidiano, dalla spossatezza, dalle mille cose che compongono la vita di chi vive solo e lavora, scrivere sta diventando sempre meno automatico.
Una volta era un tictictic sui tasti non appena avevo uno spunto. Ricordo che una volta ho scritto qualcosa persino sul Vape alla menta con cui mi intossicavo nelle notti estive per studiare con la finestra aperta senza che le zanzare facessero di me un unico pomfo bipede.
Adesso ho troppe, troppe cose su cui scrivere.
3 settimane fa volevo fortemente buttar giù il mio bilancio di fine stage in medicina vascolare, ma l'inizio del successivo è stato senza una tregua nel mezzo, e da allora se dormo abbastanza è già un regalo, figuriamoci scrivere. A quante mail non ho ancora risposto?
Medicina vascolare, dicevo: un reparto di luci ed ombre. Pazienti che non ce la fanno ad uscire di lì con entrambe le gambe, altri che non ne escono proprio, altri invece che non sono que du bonheur, come si diceva l'ultinmo giorno del mio stgae con la specializzanda più in gamba mai conosciuta, entrambe con gli occhi lucidi dopo aver visto un paziente camminare dopo mesi di degenze e complicazioni, ed una ragazza di 29 anni a tre settimane da una morte fetale, 45 minuti di rianimazione e 3 giorni di coma tornare alla vita normale, a sua figlia di 3 anni e al suo compagno che le aveva sventolato davanti al naso un diamante grosso così e una proposta di matrimonio mentre la stavano stubando.
Come diceva Annabel, que du bonheur.
Nonostante le morti, i fallimenti terapeutici, le diagnosi pesanti.
Per sopravvivere al nostro lavoro non dobbiamo mai smettere di fare bilanci.
Il mio aereo parte tra un'ora e mezza, potrei forse anticipare la partenza cambiando volo ma in realtà non ho fretta.
Quante ore sono rimasta a casa, a malapena 48? Una ricarica rapida di famiglia, di profumi, di caffè, di abbracci risate confidenza e intimità che con nessun altro ho. Mia sorella e la nostra comunicazione da gemelle, la nostalgia che ho di lei sempre. Mio padre e il suo essere affettuoso, la sua fisicità, i suoi abbracci da orso e come resta in silenzio me e Gaia fare il nostro solito cabaret, guardandoci come trovando una conferma di aver fatto un buon lavoro. Parola mia, non credo avrebbe potuto fare di meglio.
Si può essere così legati, in famiglia? Saprò ricreare questa atmosfera magica che ci tiene coesi anche se lontani, come incollati da elastici, quando avrò una famiglia mia?
Una volta non era così difficile lasciarli indietro mentre tornavo alla mia vita universitaria. Oggi è stato insopportabile. Ho semplicemente paura di perdermeli mentre crescono. E mi sento molto egoista per il fatto di non essere mai lì, mai abbastanza presente.
Oggi scappavo mentalmente dalla pioggia mentre parlavo con nonna, dal cui tono di voce si intuiva il sole che invece splendeva a Bagnara. Pasqua a Bagnara vuol dire mille cose, una vita di ricordi, e mi sono lasciata investire per un attimo mentre preparavo invece il borsone per andare verso nord e poi verso ovest, mentre il richiamo del sud comincia a farsi insostenibile.
Invece torno alla vita che mi sono scelta, lontana, piovosa, per qualche mese ancora vicina ad Andrea, e ai bimbi dalle ossa rotte che mi stanno di giorno in giorno più simpatici nonostante l'orario a cui mi buttano giù dal letto ogni mattina.
Se avessi fatto questi sei mesi a Firenze avrei avuto ritmi distesi, tempo per preparare gli esami ed avvantaggiarmi con leggiadria, tempo per godermi gli amici che mi mancavano lo scorso anno e che mi mancano ora più di prima, e sarei con le mie due splendide coinqui che mi hanno reso lo scorso semestre un vero idillio.
Tolosa mi offre l'occasione di cementare un rapporto, di cimentarmi in cose nuove, di darmi da fare davvero per vedere se questa vita è possibile.
Ogni giorno mi ripeto che ne sta valendo la pena, che prendo più di quanto lascio. Poichè i bilanci si fanno alla fine, prego che mi diano ragione.
Un'ultima occhiata allo specchio prima di imbarcarmi, odio sentirmi meno a posto delle hostess.
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