martedì, ottobre 30, 2007

The Unexpected


Quando Nanny scrive un post, beh, al 90% condivido appieno tutto quello che dice, e stavolta non è diverso.

L'inatteso, questo simpatico muovipedine che non guarda in faccia a niente e a nessuno. Lascia i progetti sul marciapiede ed occupa la strada, la tua strada, quella che stai battendo tanto amorevolmente giorno dopo giorno e che desideri rendere tua con le tue scelte, le tue piccole grandi imprese, i sogni che spesso sembra si infrangano con tanto di schiuma contro qualche muro sorto nottetempo.

Una pagina web, una mail. Una chiaccherata con qualcuno di inaspettato, domande imbarazzanti di pazienti.

Uno scudo di kevlar che si fessura.
E le onde si infrangono e fanno rumore, e lavano via la sorpresa, le difese, la voglia di proteggersi da tutto e da tutti.
Mi hanno lasciata così, vulnerabile alle cose vere, mentre attendo in punta di piedi che l'orizzonte si dispieghi giocoso e inatteso, per essere ancora una volta intontita dal valzer delle circostanze che danza danza intorno a me ed ogni tanto mi fa roteare tra le sue braccia. Ho sempre amato danzare, e qualche giorno fa ho dissepolto la stella danzante che è dentro di me, la stessa che ha animato la mia crescita fervida e la mia voglia di masticare il mondo.
Guardo le luci sulla riva, un fiordo profumato di sale e vento gelido pieno di possibilità, quello che quando arriva... non c'è verso, non c'è poi, sferza tutto come dice lui.
E allora, e ora, spalanco le braccia e lascio che il vento giochi con i miei capelli e con i miei giorni futuri.
“No one believes that their life will turn out just kind of okay. We all think we are going to be great. And from the day we decide to be surgeons, we are filled with expectation. Expectations of the trails we will blaze, the people we will help, the difference we will make. Great expectations of who we will be, where we will go. And then we get there.We all think we’re going to be great and we feel a little bit robbed when our expectations aren’t met. But sometimes our expectations sell us short. Sometimes the expected simply pales in comparison to the unexpected. You got to wonder why we cling to our expectations, because the expected is just what keeps us steady. Standing. Still. The expected’s just the beginning, the unexpected is what changes our lives.”

martedì, ottobre 23, 2007

Rouge Interdit

Yesterday night I bought my first lipstick. Not a common lipgloss, or a moisturizer: an actual lipstick. For a woman, this is crossing the line from adolescence to adulthood more than having a baby. Chromosome Y owners, you may think I'm just another girlish chick who cares more about the haircut than the hole in the ozone layer, so just stop reading -lipsticks do not hurt the ozone layer, this to be underlined. This post is not for you, nor for those girlish chicks who care more about the haircut than the ozone layer (feeling so ecologist today...). This post is for that mastermind who invented the Rouge Interdit, with its magical I definetly have to trust in. No surprise if women are finally taking their hot shots, if substances like this are legal and wide-spreaded. To the Maison Givenchy my eternal gratitude, for making me feel like a princess wearing a tracksuit, runnings, socks of different colours and a veil of Precious Rose.

venerdì, ottobre 19, 2007

Plenty of me

Questa foto sono io, e non solo perchè la foto ritrae me.
Made by Alwyn
La mia vita a colori vividi anche se su un fondo apparentemente spento, io spesso da sola ma mai sola, per la presenza di poche persone che a me tengono sul serio. Io e la mia vita che non incrocia più alcune strade, io e i miei progetti futuri, io e la mia buona fede sepolta, io e la mia lingua tagliente. Aver imparato a fare e leggere ecografie, ecocuore e ecodoppler. La carbonara preparata con le infermiere all'una di notte durante un turno intenso. La condivisione del mio mondo con sei persone e basta, in barba ai km. Il mio onomastico e gli auguri del babbo che ogni anno se ne dimentica ma oggi no -dopo 22 anni ancora non mi spiego perchè tiene così tanto al mio onomastico...-.
Una password condivisa, la dimostrazione più grande. "Senti, oggi fai te, eh?"

Scoprire che alcune persone ancora non hanno capito quale linea non gli è consentito oltrepassare, e rimediare al più presto affinchè i confini siano opportunamente tracciati.
La cresima di mia sorella. I bimbi che non vedo l'ora di conoscere domani.

L'attesa di un'ammiga che non vedo l'ora torni. Altre che ho atteso anche troppo, e che ai margini della mia vita sono collocate comodamente. Insomma, il sereno assestarsi di un nuovo equilibrio, e la gioiosa constatazione che chi davvero volevo c'è sempre, e che soprattutto ci sono pienamente io.

lunedì, ottobre 08, 2007

La serratura rotta

Sabato sera, chiaccherando con le bimbe che avrebbero presto seguito nuove tracce ho chiesto loro perchè erano tristi. Mi han risposto "perchè lasciamo il Branco". Avrei voluto dire loro che sì, lo sapevo perchè erano tristi, e avrei voluto spiegar loro che dovunque si può tornare... ma davvero non era il momento. Ieri era il momento di temere la salita al Reparto ma di non veder l'ora di liberarsi di quei bimbi più piccoli -proprio quelli di 8 anni, che rompono terribilmente le palle a noi che ne abbiamo 11 e abbiamo tanti pensieri-. La verità è che ad ogni passaggio una paura terribile e una curiosità folle convivono nei battiti accelerati del cuore, nella tensione, nell'aspettativa.
Avrei voluto spiegare loro che ovunque si può tornare, che anche a quasi 22 anni si può tornare in Branco, ma mi avrebbero risposto sbuffando che non è la stessa cosa e avrei dovuto dar loro ragione, quindi sono stata zitta. Sono rimasta ad osservarle tutta la sera, e le ho viste così piene di decisioni da prendere... e anche se loro non lo sapevano, anche per me ieri c'è stato un passaggio importante.
Mentre prendevo il Totem ed il mio nuovo nome Giungla c'erano accanto a me -in modi diversi- Kaa, Babbo Lupo, Akela e Wontolla di quando ero lupetta, c'era la mia staff, c'erano alcune persone del CFM a cui tengo molto... ma soprattutto c'erano quattro persone: Matteo, Annalucia, Alberto, Alessandro e Gaia. Il primo sa sempre quello che sento e quanto è nei miei pensieri. La seconda è stata mia sorellina di tana, tenda e strada, e tale resterà per sempre. Gli ultimi tre sono tatuati nella parte del mio cuore meglio irrorata dalle coronarie, l'ultima parte del mio cuore che smetterà di battere.
Boschi ed Acque, Venti ed Alberi,
saggezza, forza e cortesia
che il favore della Giungla vi accompagni.

lunedì, ottobre 01, 2007

Crossing the line

Undici volutissime ore in Dea. Sono esausta e tra 4 ore iniziano le lezioni, ma stanotte devo resistere ancora un po’, scrivendo alla rinfusa, ma devo proprio.


Mio padre mi ha chiamata per sentire se il viaggio era andato bene, ed in valigia avevo due scatolette di salmone che aveva pensato a comprare per esser certo che al mio ritorno alla vita universitaria avessi qualcosa di commestibile pronto all’uso. Gaia negli scorsi giorni mi ha procurato un po’ di musica nuova, cosicché le ore di treno non fossero troppo noiose, e si è svegliata presto di domenica mattina per salutarmi.
Mia zia è tornata ad Avezzano questo weekend per poter stare un paio d’ore con me. Entrambe le nonne spergiurano di spendere preghiere per me, per i miei studi e per la mia salute. Con Virginia ci siamo sentite circa sei volte nelle ultime 24 ore, e Nik mi ha chiamato da Torino con voce raggiante (è da febbraio che non lo sentivo così, che bello) e sigaretta tra le labbra (credo al posto dell’appendice cecale abbia una Gauloise Rossa), benché non stesse adempiendo ad uno dei primi doveri di uomo, cioè "tesoro ti sta benissimo, sembra ti sia stato cucito addosso" per tutta la durata del raid di compere. Dalla zona Canavesana e bresciana sento arrivare pensieri felici e piovere affetto. Enzo (stella, meraviglia, sorpresa, regalo, miracolo) mi ha fatto ciao ciao con la mano quando andavo via dopo aver chiaccherato tutta la sera, e si è persino lasciato dare un bacino in più. Nel mio cellulare ci sono circa 40 numeri davvero importanti.



Mi ricordavo di lui, visto già altre volte, visto tre mesi, venti chili e quaranta decibel fa di voce, in un altro reparto. Passa in Dea proprio per l’accettazione, c’è un letto in reparto che lo aspetta già, e spero tanta morfina quanta riesce a stargli nelle vene.
Nel modulo di FirstAid del Dea c’è anche la voce ‘Informati i parenti’, una voce che vuol dire che qualcuno è in sala d’aspetto a tormentarsi per te; a torcere e stracciare fogli di carta, bere caffè per ingannare il tempo, parlare senza smettere per non far passare i pensieri cattivi. Ma per lui non è stata aperta quella voce, perché nell’ampia sala d’attesa che è la faccia della Terra nessuno stava facendo a pezzetti niente in attesa di sapere come lui stesse.
Forse ricordo le facce dei pazienti che vedo perché sono solo all’inizio, forse ricordo perché mi piacerebbe pensare che un medico, visitandomi, ricordi me. Non è che poi li ricordi tutti: talvolta sull’autobus riconosco persone, e qualche volta è capitato che loro riconoscessero me. Ma ci sono alcuni visi che si sigillano con la ceralacca nell’archivio e proprio non se ne vanno.



Ma chi -o più probabilmente cosa- è uno studente? Che ruolo ha? E come si fa a capire qual è la soglia di intimità da non superare?
Il cardine di tutto sta in quei 40 numeri, in quelle mille attenzioni: io non sono sola al mondo, e se avessi un Etp laringeo con ripetizioni ovunque… forse vorrei qualcuno accanto che mi prepari una minestrina o mi chieda come sto o chiami per me un’ambulanza se sento talmente tanto dolore da non riuscire ad alzarmi dal letto per andare a bere. La soglia è quella del reparto dove ora è ricoverato, e dove vorrei andare a trovarlo come fossi una vicina di casa? La soglia è l’addossarsi compiti che non abbiamo, arrogarsi diritto di intrusione?



Sono quella delle risposte, quella che anche se ad una domanda in sede d’esame non ricorda le cose con precisione le ricava ragionando ad alta voce col prof, quella che si stupisce da sola nel ricordare i dosaggi dei nitroderivati e nel piangere proprio ora, mentre scrivo… e Dio solo sa come vorrei avere questa, di risposta. Ancora, ancora ed ancora tento di rispondermi che sono una persona e che l’empatia non è una malattia, almeno in genere, quando riesci a smettere di piangere in un tempo ragionevole.