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sabato, settembre 29, 2007
venerdì, settembre 21, 2007
Confessions from the Pit
Questo è un post che varei voluto pubblicare quasi una settimana fa, ma che a causa di bacilli facenti il buono e il cattivo tempo posso postare solo ora. In questa settimana l’ho rileto più e più volte, e per la prima volta non ho cambiato una virgola. Bene, ora potete leggere.
“Ciao, Laura! Come stai? Vieni, vieni, mi fa tanto piacere vederti, sono in rossa su una situazione di coma iperosmolare, entra che ti spiego!”
E’ quasi un anno che provo la stessa sensazione ogni volta che sgattaiolo dentro quella porta sul retro. Passare dall’entrata di servizio regala una sensazione di intimità, di confidenza con un posto, come se gli appartenessi un pochino. Il mio cervellino giovane sogna un luogo di lavoro in cui arrivare e sentirsi bene, e forse la sensazione che cerco è quella che ho imparato a provare lì. Tutte le volte che faccio quel passo oltre la soglia è un passo pensato e desiderato, nasce dallo studio e dalla sete di capire qualcosa di nuovo anche oggi. Ma sputtaniamoci fino in fondo: nasce dal bisogno di fare tutto il possibile, pure di prendere coraggio e osare una risposta, e osare meritare un grammo di fiducia, e osare custodire quel sorriso affermativo dentro il cuore e la testa, come appiglio nei momenti bui. Come qualsiasi cosa io faccia, credo nasca dall’amore profondo, sorpassando di chilometri le amarezze dei verbali… ed effettivamente sutura bene le ferite.
In un modo molto poco cinico amo la sincerità dell’ospedale. La corsia ti mette a nudo, sei quello che sei ed è nel tuo interesse abbattere i muri di cui ti circondi fuori, riportare alla luce l’umanità, la vergogna, il pudore, la comunicazione verbale. E questo vale anche per chi ha le olive del fonendo dalla sua.
Questa serata la domanda attorno a cui ho arrovellato le meningi è stato: cos’è effettivamente che mi piace così tanto del Pronto Soccorso?
La prima risposta che mi sono data è: l’odore. L’ospedale odora di ospedale: odore di detersivo per pavimenti, di disinfettante e di cucina. Odio l’odore di mensa dell’ospedale. Mi ricorda dolorosamente i mesi passati in ospedale da mia madre e mia nonna. Credo questo sia il primo cardine della predilezione ‘a pelle’ per il Dea: non c’è odore di cucina. Dopo due settimane in Medicina Generale (un reparto che mi è piaciuto tantissimo) avevo imparato come evitare gli orari dei pasti; ho recuperato più ricordi brucianti in quei 15 giorni che negli ultimi 12 anni.
Secondo punto, il fatto che in reparto mi annoio. Non credo preferire l’acuto al cronico sia sintomo, per un medico, di superficialità e svogliatezza. Anzi: per come ho imparato a vedere le cose fatte qui, a maggior ragione l’attenzione è più accurata, i sensi acuiti. Il Dea non è solo un collegamento tra territorio e posti letto… e chi la pensa così non ha mai passato un anno a vedere un Pronto Soccorso che lavora bene.
Qualche millisecondo dopo è subentrato il sentore di sentirsi a proprio agio con le persone. Per me è esattamente così, dal tutor eccezionale come dottore e come uomo al co-turnante di sempre, la sopresissima dell’anno 2007. Sapere che, qualsiasi cosa succeda, lì c’è qualcuno di cui ti fidi e che ti ha insegnato talmente tanto da non essere più solo un tutor o un compagno di corso… è un codice giallo rivalutato bianco.
Oggi ho lavato i vetri in camera mia, e ho alzato gli occhi dallo schermo mentre scrivo, e mi sono vista riflessa nella cornice della finestra. Stavo sorridendo, e non da quel preciso istante; ho la sensazione che quell’espressione sul viso fosse lì da un po’.
Gianluca serafico, Gianluca modesto, gentile dalla prima stretta di mano, disponibile anche quando avrebbe potuto –e forse voluto- mandarmi a cagare, buono come persona e come dottore, buono come il pane, sempre pronto a spiegarti, a farti fare e imparare, Gianluca che gioisce per ogni nostro esame fatto, per ogni successo, che ascolta e spiega e sorride. Il medico che mi sta insegnando ad essere, un giorno, medico.
Ma non solo lui.
Qualche mese fa, durante un momento difficile, molto semplicemente Matteo c’era. Cavoli, e chi se lo aspettava? Avrei potuto dire quindici nomi diversi dal suo nel tirare ad indovinare chi avrei avuto accanto, e ne avrei azzeccati forse quattro. Ed il suo non c’era, ma lui sì, credo sottovalutando tutto quel che ha detto e fatto per me e con me, in modo talmente spontaneo e lineare da lasciarmi a bocca aperta più e più volte.
A ridere con me e a distrarmi, con i suoi messaggi forse più folli ed arzigogolati dei miei, con una sensibilità stupefacente e la presenza discreta, con gli origami fatti con i fogli dei ricettari, con le mille proposte per uscire e coinvolgermi con gli altri: le spedizioni punitive a Panini d’Autore e alla Farmacia dei Sani per i nostri aperitivi analcolici prima dei turni serali e i cocktail parecchio poco analcolici dopo, il pranzo sul Passo del Giogo, la serata al Museo della Scienza… sembra assurdo scrivere di una persona che non leggerà queste cose, ma non è per questo che scrivo. Serve scrivere, per “misurare la perdita” di cose belle che un giorno voglio poter ricordare tutte.
E stasera scrivo anche di una telefonata meravigliosa con il mio nipotino, una telefonata da grandi, botta e risposta, articolata e con le lacrime agli occhi per tutto il mio amore che gli arriva solo a distanza e la nostalgia che c'è anche se non si dice, triste nel pensare di vederlo 20 cm più alto ogni volta.
“Ciao, Laura! Come stai? Vieni, vieni, mi fa tanto piacere vederti, sono in rossa su una situazione di coma iperosmolare, entra che ti spiego!”
E’ quasi un anno che provo la stessa sensazione ogni volta che sgattaiolo dentro quella porta sul retro. Passare dall’entrata di servizio regala una sensazione di intimità, di confidenza con un posto, come se gli appartenessi un pochino. Il mio cervellino giovane sogna un luogo di lavoro in cui arrivare e sentirsi bene, e forse la sensazione che cerco è quella che ho imparato a provare lì. Tutte le volte che faccio quel passo oltre la soglia è un passo pensato e desiderato, nasce dallo studio e dalla sete di capire qualcosa di nuovo anche oggi. Ma sputtaniamoci fino in fondo: nasce dal bisogno di fare tutto il possibile, pure di prendere coraggio e osare una risposta, e osare meritare un grammo di fiducia, e osare custodire quel sorriso affermativo dentro il cuore e la testa, come appiglio nei momenti bui. Come qualsiasi cosa io faccia, credo nasca dall’amore profondo, sorpassando di chilometri le amarezze dei verbali… ed effettivamente sutura bene le ferite.
In un modo molto poco cinico amo la sincerità dell’ospedale. La corsia ti mette a nudo, sei quello che sei ed è nel tuo interesse abbattere i muri di cui ti circondi fuori, riportare alla luce l’umanità, la vergogna, il pudore, la comunicazione verbale. E questo vale anche per chi ha le olive del fonendo dalla sua.
Questa serata la domanda attorno a cui ho arrovellato le meningi è stato: cos’è effettivamente che mi piace così tanto del Pronto Soccorso?
La prima risposta che mi sono data è: l’odore. L’ospedale odora di ospedale: odore di detersivo per pavimenti, di disinfettante e di cucina. Odio l’odore di mensa dell’ospedale. Mi ricorda dolorosamente i mesi passati in ospedale da mia madre e mia nonna. Credo questo sia il primo cardine della predilezione ‘a pelle’ per il Dea: non c’è odore di cucina. Dopo due settimane in Medicina Generale (un reparto che mi è piaciuto tantissimo) avevo imparato come evitare gli orari dei pasti; ho recuperato più ricordi brucianti in quei 15 giorni che negli ultimi 12 anni.
Secondo punto, il fatto che in reparto mi annoio. Non credo preferire l’acuto al cronico sia sintomo, per un medico, di superficialità e svogliatezza. Anzi: per come ho imparato a vedere le cose fatte qui, a maggior ragione l’attenzione è più accurata, i sensi acuiti. Il Dea non è solo un collegamento tra territorio e posti letto… e chi la pensa così non ha mai passato un anno a vedere un Pronto Soccorso che lavora bene.
Qualche millisecondo dopo è subentrato il sentore di sentirsi a proprio agio con le persone. Per me è esattamente così, dal tutor eccezionale come dottore e come uomo al co-turnante di sempre, la sopresissima dell’anno 2007. Sapere che, qualsiasi cosa succeda, lì c’è qualcuno di cui ti fidi e che ti ha insegnato talmente tanto da non essere più solo un tutor o un compagno di corso… è un codice giallo rivalutato bianco.
Oggi ho lavato i vetri in camera mia, e ho alzato gli occhi dallo schermo mentre scrivo, e mi sono vista riflessa nella cornice della finestra. Stavo sorridendo, e non da quel preciso istante; ho la sensazione che quell’espressione sul viso fosse lì da un po’.
Gianluca serafico, Gianluca modesto, gentile dalla prima stretta di mano, disponibile anche quando avrebbe potuto –e forse voluto- mandarmi a cagare, buono come persona e come dottore, buono come il pane, sempre pronto a spiegarti, a farti fare e imparare, Gianluca che gioisce per ogni nostro esame fatto, per ogni successo, che ascolta e spiega e sorride. Il medico che mi sta insegnando ad essere, un giorno, medico.
Ma non solo lui.
Qualche mese fa, durante un momento difficile, molto semplicemente Matteo c’era. Cavoli, e chi se lo aspettava? Avrei potuto dire quindici nomi diversi dal suo nel tirare ad indovinare chi avrei avuto accanto, e ne avrei azzeccati forse quattro. Ed il suo non c’era, ma lui sì, credo sottovalutando tutto quel che ha detto e fatto per me e con me, in modo talmente spontaneo e lineare da lasciarmi a bocca aperta più e più volte.
A ridere con me e a distrarmi, con i suoi messaggi forse più folli ed arzigogolati dei miei, con una sensibilità stupefacente e la presenza discreta, con gli origami fatti con i fogli dei ricettari, con le mille proposte per uscire e coinvolgermi con gli altri: le spedizioni punitive a Panini d’Autore e alla Farmacia dei Sani per i nostri aperitivi analcolici prima dei turni serali e i cocktail parecchio poco analcolici dopo, il pranzo sul Passo del Giogo, la serata al Museo della Scienza… sembra assurdo scrivere di una persona che non leggerà queste cose, ma non è per questo che scrivo. Serve scrivere, per “misurare la perdita” di cose belle che un giorno voglio poter ricordare tutte.
E stasera scrivo anche di una telefonata meravigliosa con il mio nipotino, una telefonata da grandi, botta e risposta, articolata e con le lacrime agli occhi per tutto il mio amore che gli arriva solo a distanza e la nostalgia che c'è anche se non si dice, triste nel pensare di vederlo 20 cm più alto ogni volta.
martedì, settembre 11, 2007
Poker
Su di me prima degli esami si potrebbe fare un film che sbancherebbe ai botteghini. Una sorta di straccio senza orari, che non mangia o mangia tre forchettate di pasta ancora cruda, dorme male, mette la sveglia per ricordarsi di bere e non riesce a fare programmi per "dopo l'esame". Oggi ho finito gli esami necessari per passare in quarto anno, e questo adesso basta per rassicurarmi un po' sul futuro. Ora ho circa 20 giorni per riacclimatarmi nella vita universitaria e scoutistica, e per ripartire grintosa, da brava ed orgogliosa Bagheera.
Per la serratura rotta che mi ha liberata, inizio ad affilare gli artigli, per tutto quel che verra'.
domenica, settembre 09, 2007
HSL
Ore 21.26, dopo un po’ d’ore di studio senza pausa lascio scorrazzare i mille pensieri che hanno popolato le pause di oggi, quelle che rendono inefficace lo zucchero nel caffè. Ho riguardato le foto dei miei bimbi, di Villaretto, del Cfm, della Bolivia, per riacciuffare quella forza che va scemando… e, as usually, tirar fuori tutto vuol dire comporre un trenino di parole di senso compiuto. Inizio a spalare carbone.
Pensiero principale, ovvio, ‘sta caspita di Fisio3 che di suo non mi metterebbe minimamente ansia, ma avendo il grave difetto dei professori (due su 4 improponibili e uno dei due che si salvano ha gli esami di Fisio2 nelle stesse date d’appello) con un 66,6 periodico di chances di “Signorina, torni la prossima volta” non è che faccia propriamente dormire sonni tranquilli. Ci sono mille altri calcoli di statistica studentesca che si potrebbero fare, tutti molto più efficaci di qualsivoglia distribuzione gaussiana… ma ahimè, nessuno dei quali tristemente reca gaudio. Quindi, per il momento li ignoro. Linkata direttamente al P.P. (non Progressione Personale, fratellini, ma Pensiero Principale) troviamo una serie di cinque numeri, un segno di punteggiatura e una letterina particolare che mettono quasi più paura del pensare al Colomo prima di andare a letto. 902,27 €. Una prima rata tipo cuscino premuto forte sulla bocca per quaranta secondi, una prima rata che è una flebo di angoscia e senso di colpa in più se le coincidenze astrali mi tirassero la coppia d’assi “Colomo-Pantaleo” che potrebbe zavorrarmi al terzo.
La facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze è, a detta di molti, tra le migliori. Dopo 3 anni qui, c’è solo un giudizio che posso esprimere al riguardo. La facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze ti prepara alla vita vera, dove vige la legge della giungla e devi correre non importa che tu sia leone o gazzella, perché ogni ottobre devi fare il tagliando e se non è tutto a posto, spiacenti, corregga il tiro e poi si ripresenti tra un anno. Sapete, legalmente l’intervallo tra un appello e l’altro è quindici giorni ma ‘consigliano’ almeno un mese prima di ripresentarsi dopo un libretto reso.
“E, ovviamente, se ha verbalizzato un esame da meno di sei mesi come può aver preparato per bene la nostra materia?”.
Hic Sunt Leones. Siamo fuori dal tunnel del divertimento!
E poi c’è il DEA e le persone che ci lavorano, al cui solo pensiero mi assale la nostalgia. E l’aula B della Biomedica –situata proprio sopra ai lavori per la folle tramvia che arriverà fin dentro l’ospedale, così spoglia, con le piastrelle spaiate perché scoppiano ogni par d’anni e le pale dei ventilatori che girano con proprio criterio e a loro discrezione … ma con tutte quelle vetrate sulla collina di Monna Tessa, che ti viene da sorridere quando ‘riporti il fuoco visivo ad infinito’, come voleva il Gulisano per farci mantenere nelle orbite gli occhi provati dal Balboni, E i tre computer con connessione a 56K, quella che credevo fosse ormai prerogativa solo di casa mia.
E l’aria polverosa appena entri, e le teste che si voltano per vedere chi è.
Teste che ami, che riconosceresti anche solo di spalle dal modo in cui muovono il gomito, mordicchiano la penna, tamburellano le dita su tavolo, dal colore degli evidenziatori accanto a loro. La facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze è una fornace di ottimi maratoneti, in compagnia dei quali mi spaventa tutto meno. Hic Sunt Leones, quelli veri, quelli che mi scrivo addosso.
Teste di c…., la presenza infestante di quelli che giudicano chi resta indietro, di quelli che hanno permesso l’approvazione di questo regolamento balordo, un po’ pietosi e compassionevoli, un po’ pieni del loro essere in regola, resi tronfi dalla loro chiamata divina. “E che dovevamo permettere che la gente si laureasse in 7 anni? Vabbè, ma quello la domenica pomeriggio non studia mai e va anche in piscina il martedì sera, grazie che è rimasto indietro!”. Credetemi, non esagero. Questa frase l’ho sentita davvero, è stata il mio primo spalancar d’occhi sulla gestione partitica degli studenti, e dopo due anni mi fa ancora rabbrividire e riflettere tanto.
Torno a studiare ancora un paio d’ore.
Che il rapporto ventilazione-perfusione sia con voi. Baci
Ale, Albi. In questo istante ho una voglia lancinante di una tazza di roba calda davanti a un fuoco, sotto le stelle, su qualche vetta, dovunque ma insieme a voi.
Pensiero principale, ovvio, ‘sta caspita di Fisio3 che di suo non mi metterebbe minimamente ansia, ma avendo il grave difetto dei professori (due su 4 improponibili e uno dei due che si salvano ha gli esami di Fisio2 nelle stesse date d’appello) con un 66,6 periodico di chances di “Signorina, torni la prossima volta” non è che faccia propriamente dormire sonni tranquilli. Ci sono mille altri calcoli di statistica studentesca che si potrebbero fare, tutti molto più efficaci di qualsivoglia distribuzione gaussiana… ma ahimè, nessuno dei quali tristemente reca gaudio. Quindi, per il momento li ignoro. Linkata direttamente al P.P. (non Progressione Personale, fratellini, ma Pensiero Principale) troviamo una serie di cinque numeri, un segno di punteggiatura e una letterina particolare che mettono quasi più paura del pensare al Colomo prima di andare a letto. 902,27 €. Una prima rata tipo cuscino premuto forte sulla bocca per quaranta secondi, una prima rata che è una flebo di angoscia e senso di colpa in più se le coincidenze astrali mi tirassero la coppia d’assi “Colomo-Pantaleo” che potrebbe zavorrarmi al terzo.
La facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze è, a detta di molti, tra le migliori. Dopo 3 anni qui, c’è solo un giudizio che posso esprimere al riguardo. La facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze ti prepara alla vita vera, dove vige la legge della giungla e devi correre non importa che tu sia leone o gazzella, perché ogni ottobre devi fare il tagliando e se non è tutto a posto, spiacenti, corregga il tiro e poi si ripresenti tra un anno. Sapete, legalmente l’intervallo tra un appello e l’altro è quindici giorni ma ‘consigliano’ almeno un mese prima di ripresentarsi dopo un libretto reso.
“E, ovviamente, se ha verbalizzato un esame da meno di sei mesi come può aver preparato per bene la nostra materia?”.
Hic Sunt Leones. Siamo fuori dal tunnel del divertimento!
E poi c’è il DEA e le persone che ci lavorano, al cui solo pensiero mi assale la nostalgia. E l’aula B della Biomedica –situata proprio sopra ai lavori per la folle tramvia che arriverà fin dentro l’ospedale, così spoglia, con le piastrelle spaiate perché scoppiano ogni par d’anni e le pale dei ventilatori che girano con proprio criterio e a loro discrezione … ma con tutte quelle vetrate sulla collina di Monna Tessa, che ti viene da sorridere quando ‘riporti il fuoco visivo ad infinito’, come voleva il Gulisano per farci mantenere nelle orbite gli occhi provati dal Balboni, E i tre computer con connessione a 56K, quella che credevo fosse ormai prerogativa solo di casa mia.
E l’aria polverosa appena entri, e le teste che si voltano per vedere chi è.
Teste che ami, che riconosceresti anche solo di spalle dal modo in cui muovono il gomito, mordicchiano la penna, tamburellano le dita su tavolo, dal colore degli evidenziatori accanto a loro. La facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze è una fornace di ottimi maratoneti, in compagnia dei quali mi spaventa tutto meno. Hic Sunt Leones, quelli veri, quelli che mi scrivo addosso.
Teste di c…., la presenza infestante di quelli che giudicano chi resta indietro, di quelli che hanno permesso l’approvazione di questo regolamento balordo, un po’ pietosi e compassionevoli, un po’ pieni del loro essere in regola, resi tronfi dalla loro chiamata divina. “E che dovevamo permettere che la gente si laureasse in 7 anni? Vabbè, ma quello la domenica pomeriggio non studia mai e va anche in piscina il martedì sera, grazie che è rimasto indietro!”. Credetemi, non esagero. Questa frase l’ho sentita davvero, è stata il mio primo spalancar d’occhi sulla gestione partitica degli studenti, e dopo due anni mi fa ancora rabbrividire e riflettere tanto.
Torno a studiare ancora un paio d’ore.
Che il rapporto ventilazione-perfusione sia con voi. Baci
Ale, Albi. In questo istante ho una voglia lancinante di una tazza di roba calda davanti a un fuoco, sotto le stelle, su qualche vetta, dovunque ma insieme a voi.
lunedì, settembre 03, 2007
Caffè, grappa, scorze di limone, zucchero.
Prima di mettermi alla tastiera lavo le mani, il viso ed i denti, una specie di rito propiziatorio senza senso per invitare le muse a concedermi le loro grazie per una mezz’oretta. Tuttavia stasera è solo per abitudine che ho compiuto quei gesti, ho così tanto da dire da lasciare le muse in compagnia di Morfeo o di qualcuno che più di me richieda i loro servigi. “C’è qualcosa che arriva di notte e poi spinge l’inchiostro” ha scritto Cammariere, e voi siete arrivati la notte prima di conoscervi, la notte dei “Chissà come andrà questa settimana?” sussurrati tra le tempie.
Mi avete rimesso in discussione, che è una cosa che amo enormemente, come non essere data per scontata. Un gustoso “Vediamo questa qui com’è” rende sapide le nuove esperienze, e mi è piaciuto tanto giocare. Nell’intervista a due voci, Mor e Ikki hanno detto che la prima impressione che gli ho dato è stata quella di una dittatrice. Credo di averla parzialmente sconfessata durante la settimana, poichè difficilmente un primo impatto sbaglia del tutto –specialmente poi se si tratta della mia indole, del mio “troppo orgoglio” irruento!- ma sarebbe bello essere capace sempre di dirigere senza comandare. Vi chiedo scusa per le volte che non ci sono riuscita, e se sono la maggior parte… beh, le persone sono il buono e il cattivo insieme.
Otto giorni di pura vita, il talmente bello e il troppo brutto. I grazie per le gioie esclusive, per le teglie svuotate, per la numerologia spiccia ed efficace, per i bombardini che arrivano dove non ce la fa la Tachipirina, per le urla dei fratellini in caccia e per il richiamo della nuova traccia. I ti prego per il già vissuto, perché lui no, perché basta così. La gratitudine profonda –ben diversa dal grazie pronunciato- per due giornate di sole, per degli incontri molto oltre l’esser speciali, per delle conferme tutt’altro che scontate, per la notte sotto le stelle, per un pisolino accanto a un ruscello, per la comunicazione wireless, per ogni singolo cenno di miglioramento.
Franci mentalmente gemella, Franci senza filtri, Franci indispensabile e insostituibile.
Stefano attentamente lì, curioso, giocoso e grandioso, un giorno un V.L. DOC.
Luca ogni tanto altrove, perennemente in discussione, fondamentalmente fantastico.
Rachele intimamente sulla mia stessa strada, sulla stessa lunghezza d’onda, il servizio e le nuove sfide. Totalmente Akela.
Matteo sorprendente, assillante e profondo, con la Pelliccia ed i bimbi tatuati nel DNA.
Lela gioiosamente affine, carismatica, sostanza. Un incrocio fortuito e fortunato di vite, nonché uno scambio di Branca.
Giulia dalla forza stupefacente e dalla presenza discreta ma non per questo meno potente.
Federico spalla possente, abbraccio da orso, il conforto e il riposo spontaneo, un rover sulla buona strada.
Ale. Ale. Ale per cui resto sempre con il cuore gonfio e senza le parole giuste, Ale semplicemente grazie. Ale, forza. E a presto.
La nostalgia stilla da ogni sottolineatura in questi giorni di nuovo sui libri, alcune canzoni sono come dei link a precisi momenti della giornata, il clangore delle pentole risuona inspiegabilmente diverso, finora mi sono preparata solo un piatto di pasta e le dita scottate stanno guarendo. Però resta, e resta forte, il sentirsi subito poco ospite e tanto coinvolta in un girotondo di sorrisi pazzi e pioggia a catinelle.
Profondamente Grazie,
Chil
Per voi, “E mi troverai” di Sergio Cammariere. Lui ha trovato le mie parole giuste.
Mi avete rimesso in discussione, che è una cosa che amo enormemente, come non essere data per scontata. Un gustoso “Vediamo questa qui com’è” rende sapide le nuove esperienze, e mi è piaciuto tanto giocare. Nell’intervista a due voci, Mor e Ikki hanno detto che la prima impressione che gli ho dato è stata quella di una dittatrice. Credo di averla parzialmente sconfessata durante la settimana, poichè difficilmente un primo impatto sbaglia del tutto –specialmente poi se si tratta della mia indole, del mio “troppo orgoglio” irruento!- ma sarebbe bello essere capace sempre di dirigere senza comandare. Vi chiedo scusa per le volte che non ci sono riuscita, e se sono la maggior parte… beh, le persone sono il buono e il cattivo insieme.
Otto giorni di pura vita, il talmente bello e il troppo brutto. I grazie per le gioie esclusive, per le teglie svuotate, per la numerologia spiccia ed efficace, per i bombardini che arrivano dove non ce la fa la Tachipirina, per le urla dei fratellini in caccia e per il richiamo della nuova traccia. I ti prego per il già vissuto, perché lui no, perché basta così. La gratitudine profonda –ben diversa dal grazie pronunciato- per due giornate di sole, per degli incontri molto oltre l’esser speciali, per delle conferme tutt’altro che scontate, per la notte sotto le stelle, per un pisolino accanto a un ruscello, per la comunicazione wireless, per ogni singolo cenno di miglioramento.
Franci mentalmente gemella, Franci senza filtri, Franci indispensabile e insostituibile.
Stefano attentamente lì, curioso, giocoso e grandioso, un giorno un V.L. DOC.
Luca ogni tanto altrove, perennemente in discussione, fondamentalmente fantastico.
Rachele intimamente sulla mia stessa strada, sulla stessa lunghezza d’onda, il servizio e le nuove sfide. Totalmente Akela.
Matteo sorprendente, assillante e profondo, con la Pelliccia ed i bimbi tatuati nel DNA.
Lela gioiosamente affine, carismatica, sostanza. Un incrocio fortuito e fortunato di vite, nonché uno scambio di Branca.
Giulia dalla forza stupefacente e dalla presenza discreta ma non per questo meno potente.
Federico spalla possente, abbraccio da orso, il conforto e il riposo spontaneo, un rover sulla buona strada.
Ale. Ale. Ale per cui resto sempre con il cuore gonfio e senza le parole giuste, Ale semplicemente grazie. Ale, forza. E a presto.
La nostalgia stilla da ogni sottolineatura in questi giorni di nuovo sui libri, alcune canzoni sono come dei link a precisi momenti della giornata, il clangore delle pentole risuona inspiegabilmente diverso, finora mi sono preparata solo un piatto di pasta e le dita scottate stanno guarendo. Però resta, e resta forte, il sentirsi subito poco ospite e tanto coinvolta in un girotondo di sorrisi pazzi e pioggia a catinelle.
Profondamente Grazie,
Chil
Per voi, “E mi troverai” di Sergio Cammariere. Lui ha trovato le mie parole giuste.
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