lunedì, dicembre 05, 2016

Ciao, passato


All the seas of the world tumbled about her heart.

Eveline mi ha sempre sconvolta, sempre divelta, sempre spogliata di fronte a tutto quello che potevo per mia natura non fare di me stessa.
Gran parte di ciò è stato vero, Eveline è stato il presagio di ciò che ho permesso fosse, anche accogliendolo, anche desiderandolo, anche ritenendolo giusto, anche amandolo.
Giusto, figlia mia, è la parola più bella e più pesante del nostro vocabolario. Ricorda sempre che tua madre è e sarà sempre una vagabonda Sagittario, che smonta i pezzi delle cose e delle persone per cercare i perchè e i ma, e che i miei scarponi prudono, e che ho fame di arie diverse... e qui ne troverai raccontate di buone.
Non dimenticare, mia piccola vagabonda Sagittario, che per ora smonti i pezzi di varie cose quando sei stanca e li riassembli al risveglio, che tutto quello che io sono lo ero prima di te, e tu hai sgrezzato qualunque pietra io fossi. Grazie a te, sono meglio.
Questo non vuol dire che brillo (o che brillerò mai, chissà) perchè il lavoro non è finito. Alcune cose, amore mio, le farò da sola, perchè solo essendo me stessa sarò chi voglio e devo con e per gli altri.
Io voglio mostrarti con queste pagine strampalate, di cui avrai diritto di sapere quasi tutto, che la mamma era e sarà sempre anche Laura. E che questo non cambia che io sia anche e per sempre tua.
Cerca nei miei occhi e nelle mie rughe, nelle mie frustrazioni e nelle mie soddisfazioni, e chiedimi anche da grande di fare quattro passi insieme.

Il mondo è strano oggi, amore, ma tu masticalo piano. Giusto è l'ultima parola che userei per descrivertelo adesso (mentre scrivo cadono bombe su Aleppo, Trump deve ancora insediarsi, c'è il conteggio dei voti per sapere se la Costituzione è stata avvelenata o meno), ma passerò ore ad inculcarti il concetto di questa parola magica, solida, vitale che dovrà sempre guidare ciò che tu potrai guidare. Ed è la sola cosa su cui uso il verbo dovere.


Chiudo qui questo cammino perchè ne ho uno più importante.

Il tuo passo che risuona accanto al mio, D, è il suono per cui ogni selciato è stato messo a terra.

venerdì, luglio 17, 2015

Ondine (per F, per V)



Scrivo oggi perché la luce fuori é impietosa e assoluta, scrivo perché somiglia al dolore e lo trascina fuori. Scrivo perché non sono capace di fare altro, e comunque non mi ero mai trovata così senza parole.
Conosco una mamma che é nata circa due anni fa. 
Queste madri sono sfide a Dio. Altre madri -quelle sfacciatamente fortunate- si sfiniscono gli occhi per loro, quando si permettono di avvicinare il pensiero. 


Ci sono mamme che nascono quando sentono il primo calcio, ci sono mamme che nascono alla prima carezza... E ci sono mamme che nascono ancora prima. Nascono con l'idea, nascono prima delle prime tracce di betahcg. 
E poi - non so come dirlo 
perché é un atto enorme
é un atto oltre ogni umana parola- restano mamme quando restano sole. 

Io ho ancora lacrime, F, se ne vuoi. Ho due occhi da prestarti, urla in abbondanza, nessuna risposta e gli occhi sgomenti. E il cuore con due piccole crepe che resteranno lì, incapace di misurarsi con tutte le macerie che vi battono nel petto. 
Hai le ossa fatte di dolore e dovrai ricordarti di respirare, F, come Ondine. Avrai il mondo che ti inciterà a farlo, e te vorrai farlo a pezzi. 
Ma resta alla luce, F. Non tornare al nulla, sebbene sia il posto adesso più accogliente. 
Resta alla luce che volevi regalare loro. 


Yashal, mia sfinita, leonessa, derubata, dolce F, che sei un vaso giapponese: fatto a pezzi e riassemblato con l'oro, affinchè siano le crepe la cosa preziosa. 

sabato, settembre 06, 2014

La prima volta qui, con lei.


Qui è dove io ero me stessa, dove mi spogliavo di tutto, muri, maglioni, maschere, quest'acqua è l'acqua dentro cui io mi sentivo davvero priva di peso e di pensieri, e nella mia vita i pensieri hanno sempre pesato più del resto (ed il resto pesava pure, eh).
Qui sono sbocciata come persona, durante le estati rimettevo insieme i pezzi del puzzle che preparavo accuratamente d'inverno uno per uno e a metà luglio mi guardavo nello specchio e scoprivo cos'ero diventata: mi vedevo -incredula- spesso bella, bella del sole, e ora so che ero soprattutto bella del possibile e dei brividi dell'ignoto, del sapore nel naso dell'aria di ogni dopocena uscendo, del gusto pulito dell'aria della notte tornando. Dei piedi ancora salati, dell'ultimo sms prima di crollare. Qui è il posto che per ultimo ho condiviso, dove mai nessuno che non fosse già qui mi aveva accompagnata, prima di Lui. Qui mi sono emozionata di ogni emozione umana.
Perlomeno, credevo. Fino ad oggi.
Stanotte ho preparato due valigine, caricato la station wagon di un mio trolley e di tutti i suoi ammennicoli, mi sono svegliata alle 4 e ho caricato i nove chili e nove mesi di mia figlia in macchina, per portarla qui. Non per passarci un momento, no. Proprio per portarla. Per farla restare.
Erano venticinque anni che nessuno di nuovo dormiva in questa casa.
Posare la sua valigina. Nella doccia dove guardavo con fierezza il segno del costume ogni sera più nitido, il mio marchio della felicità, fare il bagnetto alla sua pelle chiara e al suo tintinnare allegro.
Montare il suo letto, e rinunciare al mio solito posto per starle vicina.
Chi rassicura chi, stanotte?
Io rassicuro lei in questo nuovo ambiente, o lei rassicura me nella novità che porta in questo vecchio ambiente?
Ho infilato il suo passeggino nel posto che era della bici di mio cugino. Le ho fatto percorrere in braccio delle scalette strette chiedendole scusa per le volte in cui la copriró avendo freddo io. Ha camminato sulle mattonella sbreccate del balcone che usavo come solarium. L'ho portata a vedere i miei posti del cuore, ma lei era molto impegnata a ciucciare la mia collana, a salutare i passanti accigliandosi se non veniva ricambiata, e a spararsi botte di sonno che lèvate.
Mentre richiudevo alle mie spalle il cancellino di casa ho trovato il bandolo della matassa di sensazioni che mi si sono piantate dentro, che il diaframma contiene ma che cercano di erniare.
É la gelosia, il mio nuovo sentimento. Sono gelosa di quella che ero, del solo mio, del mio passato e dei miei ricordi, delle mie pietre calde e dei miei libri. E per lei, solo a lei, ho ceduto qualcosa di estremamente privato. Comunque cerco ancora di strappare morsi al tempo, morsi di persone e cose e gusti che ho paura che scompaiano. Qualcosa, qualcuno già non c'era oggi, ed era tutto imperfetto.
É la paura di morire dentro alla fine di qualcosa, un lato nuovo del sentimento. Se un giorno una granita dovesse non avere lo stesso sapore, o l'origano profumare meno, o un abbraccio mancare per il corso del tempo o delle cose, che ne sarà di me? Dove mi ricomporrò?
Poco fa sono andata a guardarla dormire, ed é successa quella cosa per cui a tratti mi sento una pessima madre. Mi sono sentita in orbita, nuovamente, ma con lei come centro gravitazionale. E il mare é troppo mosso per annegarci il pensiero, pesantissimo, di essere ingiusta nel dare a lei questo ruolo di sole. É lei che deve trovare in me la pace, non viceversa. Accadrà mai?
Posando lo spazzolino da denti mi sono guardata allo specchio, quello dove mi ricomponevo... e per un attimo sono scomparse le occhiaie, il pallore, gli occhi stanchi, e mi sono vista bella. Bella di questo nuovo, piccolo, potentissimo sole.
Dopodiché ha strillato nel sonno. Le é bastata una mia mano sul pancino e di nuovo respira lentamente. In pace. E allora mi godo la mia orbita, sentendomi un pochino meno egoista.

giovedì, aprile 10, 2014

Incipit Vita Nova

Ho avuto penne asciutte per un anno intero, e quando l'inchiostro era di nuovo lì sotto le mie dita è venuto a mancare il tempo di farlo uscire, la lucidità per dargli una forma comprensibile. Guardo mia figlia dormire e penso che non so più com'era la mia vita 4 mesi fa senza di lei. Ricordo che dormivo tanto, che avevo tempo da perdere, che guardavo film, che avevo giornate infinitamente piene di lavoro e futilità. Ora ogni secondo è inzuppato di amore. 
Adesso avvierò l'ingranaggio che ci porterà ad essere lontane alcune ore al giorno, troppe. Un ingranaggio necessario, che mi manca ma che non so se amo come prima, adesso che acquista il senso di privazione di lei. O forse lo amerò più di prima perchè mi renderà di nuovo una autonomia di ore 'adulte'. Quel che è certo è che ora so dov'è il pulsante rosso che ferma tutto e mi riporta da lei, e so che nulla vale tanto quanto quel pulsante. E so che sono pronta a premerlo, se servirà.

sabato, novembre 24, 2012

Gialli come dire aspetta


Mi hai dipinto una carezza sulla guancia con lo stesso gesto con cui lisciavi la base sulla carta prima di iniziare le rose. E quindi poi ti ho lasciato in pace.

Guardando il cielo sull'autostrada ho capito perchè oggi rispondevi meno, perchè l'unica esortazione meritevole di sforzo era "guarda!" e davanti alla nebbia e agli ulivi sul mio Ipad sgranavi gli occhi come fanno i bambini, a bocca aperta come per masticar lo schermo. Stavi già dipingendo il tramonto di oggi, senza dubbio il cielo più bello che io abbia visto nella mia vita. 
Non ho dubbi sul fatto che ci fosse il tuo zampino in quelle nuvole sfumate, in quel fucsia sfacciato (non l'hai mai usato prima d'ora). 
Un pittore lascia i pennelli solo quando sono finiti o sporchi, perchè di dipingere questo mondo non ci si può stancare. E quanto ti abbiamo stancato, pungolato, punto, prelevato, infuso, trasfuso, stremato in questo anno infinito. In questo anno finito.

Ti abbiamo lasciato ancora una volta a battagliare, un po' contro e un po' per, tutti gli amorevoli penosi chiaccheroni che ti hanno orbitato intorno durante questa guerra come scudieri un po' goffi - sono poi quelli migliori. Stai ancor vegliando su tutti loro, mentre loro credono sia il contrario. Avrei voluto dirti che avevi il nostro permesso, quello di tutti, per andartene a dipingere un po' più in là, en plein air... Ma c'era sempre un Perfalgan da metter su, o un lenzuolo a coprirti troppo o troppo poco. Incredibili mille modi in cui l'amore si dispiega, quanti escamotages deve trovare per manifestarsi, per sentirsi abbastanza. Credo tu ce li abbia perdonati tutti, perchè quelli che hai messo in atto per noi erano ben più bizzarri, ben più duraturi. Tutta l'acqua che sei andato a raccogliere in ogni fonte possibile. Tutti i lunedì mattina spesi per portare me e Gaia a scuola in macchina - la persona meno pigra del mondo che dedicava la sua mattina libera ad assecondare la pigrizia delle nipoti. Tutti i colori di cui ci hai riempito la vita e le mura. Tutti i giornali che hai comprato a papà quando non ricordava di averlo già letto due ore prima - sei copie di Repubblica in una mattina.
Voglio pensare che sia perdonabile il non averti fatto arrendere prima.


Danzano ancora le ballerine di Degas, fioriscono su milioni di pareti le ninfee di Monet.  E noi siamo tutti intorno a te, tutti dalla parte delle radici a guardare verso l'alto. Mentre te non vai da nessuna parte, mentre respiri con la stessa irregolarità che è il naturale ondeggiare delle spighe di grano. 
Hai silenziosamente barattato ogni punto di emoglobina, ogni piastrina per un po' di bello in più. Artista fino all'ultimo blasto, e ne hai così tanti solo perchè non sapevi dove mettere tutta quest'arte.
D'altronde non ti ho mai visto con uno zaino. 

Vedrai, Parigi è bellissima. E volare non è poi così male. 

giovedì, luglio 05, 2012

Vita Nova


C’è riuscita. Devo ammettere che ha trovato più di un modo fantasioso: il primo, quasi un contrappasso, quello di infilare in una stanzina soleggiata di una mansarda nel cuore del Bruco, nella strada dei contradaioli duri e puri, una che reputa il Palio una tamarrata. Giusto per insegnarle a pensare in silenzio.

Il secondo, le coreografie delle rondini su piazza del Campo al tramonto: un modo per avere mio padre fisicamente accanto a sorridere sornione.

Il terzo, bambini che corrono ovunque felici. E una vecchietta ingobbita nel centro della piazza con lo sguardo perso e sereno di chi magari sogna e ricorda -ma che da fuori appare quasi disorientato- che era più bella di ogni rondine palazzo tramonto.



Il quarto, una birra mentre la luna esce da dietro la torre del palazzo che sta nella piazza del Campo, che come avrete capito è l’unica cosa di cui conosco il nome qui.

 E le luci dell’Onda, che più che Onda è un merluzzo ma vabbè, per carità, tanti cari auguri per la prima vittoria dopo quella del 1995.

Eppure c’è riuscita. Nello spazio di qualche ora Siena si è fatta spazio nel disorientamento di una testa, di un cuore che non realizzano ancora davvero che si gira pagina. Eppure si è fatta spazio, quello che basta per chiedere di darle una chance, più volente e meno nolente.

Sono fatta di Firenze, ma sai che ti dico? Due passi qui me li faccio.

Incipit vita nova.

venerdì, giugno 22, 2012

Badz - parte 2


Gli occhi di tua madre erano trasfigurati, quando l'ho vista. Come se un pezzo di puzzle fosse caduto al posto giusto e finora non avevi idea di come potesse essere quel quadro, così tua madre mi è apparsa completata. Piena, proprio ora che dopo nove mesi era finalmente vuota. Sola, quando meno soli si è al mondo. Quando sei una... e il 50% di un'altra.

Se solo potessi spiegarti a parole cosa è successo quando ti ho visto la prima volta. Cosa si sente sotto lo stomaco. Come il cuore si è impegnato in battiti più corposi, come volesse ruggire.
Quando, per la prima volta, ti ho toccata. Il primo bacio sulla testa. La posizione 'sversa post-sbornia' che hai assunto sul mio braccio.I guaìti della zia Beatrice (ma non glielo ridire sennò s'offende. Ultimamente è un po' schizzata, ma le hai fatto tanto bene: sembrava quasi umana con te in braccio). Le coccole dello zio Nicco, che c'aveva i lucciconi agli occhi anche il suo cromosoma Y. 
Le tue bellissime fontanelle.

                                    Benvenuta, amore di zia.